Rassegna stampa

titoli apparsi sul giornale “il giorno” di quel periodo

L’incidente di Chernobyl avvenne il 26 aprile del 1986 ma fino al 30 aprile il governo russo tentò di nascondere e di minimizzare l’accaduto. Solo quando i rilevatori di radioattività dei Paesi confinanti cominciarono a segnalare dosi troppo elevate di radionuclidi, la catastrofe venne a galla e Mosca non poté più negare.

Il 30 aprile, in Italia, appaiono le prime notizie sul disastro nucleare, notizie scarne e imprecise.

TITOLO IN PRIMA PAGINA, Il Giorno, 30 aprile 1986 Catastrofe nucleare: Mosca chiede aiuto all’Occidente. I morti sono migliaia? Sgomberata una zona di 30 km attorno alla centrale”

Leggendo anche solo il titolo si nota una certa confusione, non si riesce a capire cosa sia realmente successo né la gravità dell’accaduto; non si conosce il numero delle vittime ma soprattutto non si ha e non si aveva ancora una conferma ufficiale del disastro dal governo russo. Dal Cremlino partì un solo ordine: silenzio. E questo, non fece che peggiorare la già drammatica situazione di Chernobyl. Secondo le fonti ufficiali sovietiche, i morti erano 2; la rete televisiva Cnn affermava, invece, che le vittime erano almeno 280; alcuni abitanti di Kiev, in una telefonata a Mosca, dichiaravano che il disastro avrebbe provocato circa 2000 morti. Dal canto suo, la Russia smentiva e cercava di ridimensionare la tragicità dell’esplosione, ma intanto, partivano richieste di aiuto all’Occidente.

In Italia, questo incidente riaprì il dibattito sul nucleare e ci si chiese se un simile incidente potesse succedere anche alle centrali nazionali.

Ma la paura maggiore che traspariva dai giornali, era che la nube radioattiva che stava viaggiando per l’Europa arrivasse fin qui, contaminando aria e suolo.

Il presidente dell’Enea (comitato per la ricerca e lo sviluppo dell’energia nucleare e delle energie alternative) e il ministro per la Protezione Civile, rassicurarono gli italiani dicendo: ” Sulla base dei dati raccolti, non esistono preoccupazioni per il nostro Paese. . . Se mai la nube dovesse arrivare potrebbe essere tra l’1 e il 3 maggio, ma sempre per poche ore e giorni.” E ancora: “Questo tipo di incidenti non possono capitare in Italia perchè le nostre centrali sono molto diverse. . . Il verificarsi dell’emergenza è da attribuirsi all’uso che in Unione Sovietica fanno dei reattori a grafite, senza contenitori interni e stagni.

IL GIORNO, 1 maggio 1986 – In Italia iniziano a rilevarsi i primi aumenti di radioattività.

“Allarme (ma non c’è pericolo). Le stazioni di controllo hanno riscontrato valori nettamente inferiori a quelli registrati in Scandinavia”

Intanto, la situazione in Urss non era cambiata, le informazioni giungevano senza conferma e molto imprecise: qualcuno diceva che la centrale bruciava ancora mentre da Mosca si dichiarava che era tutto sotto controllo; il numero delle vittime era ancora inattendibile.

“Due morti e 197 ricoverati (ultima versione ufficiale), 300-500 vittime (voci di corridoio), 2000 e anche di più (fonti americane). Continua il balletto delle cifre di pessimo gusto, continua la schizoide assurda frazione tra il mondo occidentale, preoccupato e spaventato dalla nube radioattiva e l’Orso sovietico che minimizza e si comporta come se nulla fosse, chiedendo aiuto all’Ovest ma leccandosi le ferite di nascosto nella sua tana”. “in pericolo l’altro reattore”, Il Giorno, 1 maggio 1986 p.4

ANTONIO DE FALCO, “L’Europa deve sapere quel che accade”, il Giorno, 1 maggio 1986 Gli americani rivelarono che un loro satellite aveva ripreso la centrale scoprendo, così, la fusione di un secondo nocciolo della stessa e scrissero: “Il nocciolo di un secondo reattore della centrale ucraina di Chernobyl si è fuso o sta per fondersi: i satelliti di ricognizione americani hanno rilevato netti aumenti di temperatura e hanno preso fotografie molto particolareggiate della’area della centrale. . . Alcuni scienziati nucleari tedeschi fanno sapere che in una rivista sovietica hanno trovato l’indicazione che a Chernobyl i 4 reattori sono divisi in 2 coppie: a 2 a 2 i reattori lavorano in parallelo. Allora il secondo reattore va in fusione perchè attacato dal calore o dal fuoco del primo”.

Il satellite rilevò che l’incendio durava ancora il 29 aprile e finché questo succedeva, la contaminazione radioattiva fuoriusciva e spegnerlo era difficilissimo.

AURO ROSELLI, “I satelliti americani danno le informazioni più attendibili. Dicono che la centrale sovietica è crollata e brucia ancora”, il Giorno, 1 maggio 1986 Qualcuno immaginava già le conseguenze a lungo termine di questo disastro “. . . i morti al momento potrebbero essere i più fortunati. Per anni e anni dopo il disastro, la percentuale di morti per cancro e leucemia aumenta. Nel disastro di Chernobyl, l?unione Sovietica può anche aver ragione di dire che i morti sono solo 2 (. . . ) Se anche, però, fossero solo 2 le vittime di un simile disastro si può continuare a morire per generazioni, dato che gli effetti possono passare anche ai feti e ai figli.

Ecco la descrizione dei sintomi della “malattia radioattiva”: “Nausea, vomito, formazione di vesciche sul corpo, emorragie. . . di solito il decesso avviene in qualche settimana. . . Particolarmente sensibili sono il midollo spinale e l’intestino; l’esposizione a dosi minori non è accompagnata da effetti visibili ma, a lungo andare, può determinare fenomeni cancerogeni e mutazioni genetiche”.

“Questi i sintomi della “malattia radioattiva”, il Giorno, 1 maggio 1986

Anche sulla stampa russa comparirono i primi articoli: “Cosa dicevano? Parlavano di un incidente alla centrale nucleare di Chernobyl con “distruzione di parte degli elementi strutturali dell’edificio che ospita il reattore”, di un suo “danneggiamento” con “fuga di sostanze radioattive”. Fissava in 2 morti il bilancio in vite umane, confermava l’avvenuta evacuazione degli abitanti del comprensorio della centrale e di 3 comunità vicine. E concludeva: “La situazione, per quanto concerne la radioattività nella stazione termonucleare e nel vicino territorio si è ora stabilizzata. Alle persone colpite sono state prestate le cure del caso”. Il cittadino sovietico insomma, poteva continuare tranquillo il suo sonno”. “il pericolo è l’altro reattore”, il Giorno, 1 maggio 1986, p.4

Vennero effettuate alcune interviste per le vie di Mosca, alcuni non erano neppure al corrente dell’incidente; altri si dichiaravano preoccupati ma sicuri che il governo avrebbe fatto tutto il necessario e che tutto si sarebbe aggiustato. Ma c’era anche chi lanciava messaggi tragici, questo, fu captato da un radioamatore olandese il 29 aprile tra le 23 e le 23.10: “Morti a centinaia. . . abbiamo udito delle grosse esplosioni. . . non potete immaginare ciò che sta succedendo qui con tutti questi morti e il fuoco. . . Sono a 30 km dal luogo e non so cosa fare. . . i morti e i feriti sono diverse centinaia ma la cifra potrebbe aumentare. Migliaia e migliaia di persone si sono messe in marcia insieme ai loro figli e al bestiame per raggiungere le zone a sud di Chernobyl. Ho appreso che molti morti non sono stati raccolti a causa delle radiazioni che gravano nell’area. Non so se i nostri governanti sanno cosa fare: è un vero disastro. . . per favore chiedete al mondo di aiutarci. Sto cercando di procacciarmi scorte incontaminate di viveri e acqua perché ho paura che presto vengano a mancare.”

Intanto, nei Paesi più vicini iniziano i primi provvedimenti.

“Austria: in Carinzia chiuse le scuole; Svezia: non bevete più acqua piovana; Polonia: caccia ai medicinale allo iodio; Germania: donne in attesa non uscite”. Titoli di articoli, il Giorno, 1 maggio 1986

2 MAGGIO 1986

In Italia esce, sulla Gazzetta ufficiale, un’ordinanza del Ministro della Sanità che vieta per 15 giorni “la vendita al pubblico e la somministrazione di verdure fresche a foglie (insalate, cime di rapa, bietole, spinaci, cavolfiori, cicoria, scarola, indivia, broccoli, cavoli, verza, agretti, asparagi, carciofi e similari) e la somministrazione di latte fresco ai bambini sino a 10 anni e alle donne in gravidanza”

“Ecco come sono vietati latte e verdura”, il Giorno, 4 maggio 1986, p.4

4 MAGGIO 1986

Finalmente da Mosca arrivano le prime ammissioni fatte dal segretario del Pcus di Mosca Boris Yeltsin, ad Amburgo.

In un’intervista concessa alla tv Yeltsin dichiarava che: “A provocare il disastro è stato probabilmente un errore umano. Stiamo prendendo le opportune misure per essere certi che quanto accaduto non si debba ripetere. Dopo l’esplosione del reattore furono evacuati rapidamente 4 insediamenti situati presso la centrale; la rapidità delle operazione avrebbe evitato che gli abitanti rimanessero direttamente esposti alle radiazioni. Dopo l’incidente vennero subito disattivati gli altri 3 reattori. La zona circostante rimane pericolosamente radioattiva e, per ora, la gente non può farvi ritorno. Per soffocare il radioattivo, gli elicotteri stanno gettando, sulla centrale, sacchi di sabbia, piombo e boro. Le riserve idriche di Chernobyl sono rimaste contaminate, ma non i fiumi. Smaccate bugie propagandistiche sarebbero le notizie di migliaia di morti. Il governo continuerà ad usare l’atomo per scopi pacifici.”

“Ancora il fumo maledetto”, il Giorno, 4 maggio 1986

Anche in America si decise che un solo comitato avrebbe coordinato le notizie, per evitare confusione e informazioni contraddittorie. E, dal comitato, si apprese che l’incendio era scemato ma che il reattore oppure l’equipaggiamento connesso al reattore continuava a bruciare senza fiamma.

Si escluse, però, la fusione di un secondo reattore.

Il direttore della sezione reattori nucleari alla Nuclear Regulatory Commission disse di non avere difficoltà a credere che le vittime iniziali potessero essere solo 2 (quelle dichiarate dai sovietici), ma che quel che più importava era il numero delle persone irradiate che, secondo lui, nel raggio di qualche miglia dall’incidente, rischiavano una morte molto più lenta e penosa.

La situazione in Italia, intanto, si andava stabilizzandosi; le correnti in arrivo dall’Africa portarono aria nuova, così come quelle atlantiche in arrivo sul Mediterraneo centrale.

“Mentre la radioattività diminuisce, l’emergenza non è ancora finita e tutte le misure igieniche restano in vigore a testimonianza di un pericolo non ancora svanito del tutto. La verdura è sempre l’alimento ad alto rischio: non mangiarne è un obbligo da osservare scrupolosamente. Sul latte i consigli restano tassativi per i bambini e le donne incinte. L’aria, invece, è pulita per tutti. . . i risultati parlano, chiaramente, di un apprezzabile riduzione della concentrazione di radioattività nell’atmosfera rispetto alle ventiquattrore precedenti”. DAVID SASSOLI, “Radioattività in calo”, il Giorno, 4 maggio 1986

Purtroppo le conseguenze nelle zone più vicine a Chernobyl non furono così lievi, a tutt’oggi la contaminazione di acqua, foreste, suolo e aria è ancora molto alta e ci vorranno decenni prima che tutto torni pulito.

Articoli tratti da “Il corriere della sera”

17 luglio 2007 UCCELLI GRIGI RESISTONO A CHERNOBYL

Gli uccelli colorati non sopportano le radiazioni, al contrario di quelli grigi. Nei dintorni di Chernobyl, infatti, stanno scomparendo i volatili dalle tinte vivaci, come orioli e cinciarelle. Il motivo? La loro scarsa capacità di proteggersi dalle radiazioni. Gli antiossidanti che producono le sostanze di difesa dell’ organismo (i carotenoidi, in questo caso), non sono utilizzati per la tutela della salute, ma per la pigmentazione delle piume. Lo afferma uno studio pubblicato sul Journal of Applied Ecology. Manifestano lo stesso problema di smaltimento radioattivo: i migratori (consumano energie nel volo) e i pennuti che depongono uova grandi (spendono troppo per i piccoli). Soltanto gli uccelli in grado di risparmiare gli antiossidanti, come fringuelli (foto) e alati dal manto anonimo, hanno vita facile nei pressi del reattore esploso. Caruso Paola

6 giugno 2006Chernobyl, un bunker pericoloso -L’ arco per sigillare il reattore è vulnerabile ai terremoti-

DAL NOSTRO INVIATO KIEV (Ucraina) – Il progetto internazionale del nuovo sarcofago per meglio sigillare il reattore nucleare di Chernobyl esploso venti anni fa, nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1986, salutato come una risolutiva opera ingegneristica in grado di scongiurare altre fughe di radioattività, sollecitato a gran voce dallo stesso presidente della Repubblica Viktor Yushchenko, si rivelerà un rimedio peggiore del male. Lo hanno affermato senza mezzi termini due esponenti di spicco dell’ Accademia ucraina delle scienze, i professori Vyacheslav Shestopalov ed Emlen Sobotovich, rispettivamente direttori degli istituti di Radioattività ambientale e di Geochimica ambientale di Kiev. Le critiche che i due scienziati ucraini hanno avanzato, anche a nome di ingegneri e architetti facenti parte di un comitato di valutazione del progetto, sono venute nel corso di un seminario organizzato dalla Lega ecologica ucraina e dalla italiana Legambiente a Kiev, col proposito di tracciare un bilancio dei problemi ambientali e sanitari provocati dalla persistente contaminazione radioattiva nella zona dove avvenne il disastro nucleare. «Come sapete, il progetto del nuovo sarcofago è il risultato di una gara internazionale, ha una struttura a forma di arco di circa 100 metri d’ altezza. Il sarcofago dovrebbe essere montato lontano dai resti del reattore numero 4 e infine trasportato su binari fino a ricoprire l’ attuale copertura in cemento armato, che allo stato attuale presenta grandi crepe e perdite di radioattività – hanno riassunto i due esperti Shestopalov e Sobotovich -. La sua mobilità deriva anche dall’ esigenza di spostarlo, ogni vent’ anni, per ricostruire gli strati interno ed esterno, soggetti a forte degradazione e usura». Secondo il progetto, l’ arco che sigillerà il reattore esploso avrà una struttura portante in acciaio, con elementi in calcestruzzo e ricoperta da uno speciale film plastico. Ma a quanto pare il progetto da un miliardo di dollari non ha tenuto conto della sorte, che oggi appare inevitabile, dell’ attuale sarcofago in cemento armato. «La presenza di una faglia tettonica attiva e di fenomeni di subsidenza nel terreno su cui poggia la ex centrale di Chernobyl rendono sempre più probabile, nei prossimi anni, un incidente sotto forma di un collasso, sia pure parziale, del vecchio sarcofago – hanno proseguito Shestopalov e Sobotovich -. Finora questo esito è stato scongiurato con interventi di puntellamento e di riparazione delle falle. Ma, quando si verificherà il crollo, se da un lato è vero che l’ arco avrà un effetto di contenimento delle polveri e delle radiazioni, è altrettanto vero che esso diventerà inamovibile e si riproporrà una situazione analoga a quella attuale, con l’ esigenza di dover progettare un contenitore ancora più ampio». Molto meglio, concludono i due esperti, affrontare fin d’ ora una soluzione radicale e dare corso alla rimozione per mezzo di mezzi robotizzati dell’ attuale sarcofago e del suo contenuto, interrando il tutto in un adeguato deposito geologico, e bonificando per sempre la zona. Quanto alla radioattività residua nei circa 1.000 chilometri quadrati dei territori più direttamente investiti dal fall out, i due esperti Shestopalov e Sobotovich sostengono che, almeno riguardo a tre radioisotopi, la contaminazione sarà ancora di lunga durata. Le loro previsioni allungano davvero ombre nere sul presente e sul futuro delle popolazioni che risiedono anche lontano dall’ area più direttamente interessata: «Del cesio non ci libereremo che alla fine di questo secolo. Per la completa uscita dalla catena ecologica dello stronzio ci vorrà ancora di più, circa 150 anni. Il plutonio, sebbene presente in misura minore, persisterà nei terreni addirittura per 200 mila anni. Con tutte le incognite per le conseguenze sanitarie sulla popolazione». Quando di Chernobyl si afferma che è un incidente senza fine non è uno slogan. Foresta Martin Franco

27 aprile 2006 Cento metri quadrati di fratture nel rivestimento della centrale. «C’ è il rischio di un collasso»

Crepe nel sarcofago di Chernobyl. «Escono radiazioni»

DAL NOSTRO INVIATO CHERNOBYL – Nel sarcofago in cui è rinchiuso il relitto della centrale nucleare esplosa il 26 aprile 1986 si sono aperte nuove e vistose crepe per un totale di 100 metri quadrati, da cui escono radiazioni e polveri. Il nostro avvicinamento all’ impianto è scandito da un contatore Geiger dell’ Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. Un bip al secondo a Kiev, l’ elegante capitale ucraina che dista 120 chilometri dalla centrale. Due bip a Ivankiv, la cittadina a 50 chilometri da Chernobyl che accolse la maggior parte dei profughi. Cinque bip sulla strada che porta dal villaggio di Chernobyl all’ impianto; e addirittura 50 bip a cento metri dal sarcofago. Sono passati 20 anni dal maggiore incidente della storia dell’ energia nucleare, ma la radioattività ambientale delle zone colpite non accenna a diminuire, assicurano i controllori di terreni e villaggi attorno alla ex centrale. Gli isotopi di più lunga durata (decenni e secoli) sono passati dal cuore del reattore esploso, all’ aria, alla terra, alle piante, agli animali, all’ uomo. E continuano a riciclarsi a dispetto dei numerosi interventi di bonifica. Nessuna meraviglia: la quantità di radiazioni liberate dall’ esplosione è stata rivalutata anno dopo anno. L’ ultimo bilancio parla dell’ equivalente di 400 atomiche di tipo Hiroshima. Ma il disastro ambientale che ha condannato un territorio di 3000 chilometri quadrati alla desertificazione, e 150 mila abitanti alla perdita irreversibile di case e averi, non esaurisce il perpetuarsi della tragedia. «La struttura in cemento armato, il cosiddetto sarcofago, costruito per sigillare quel che resta del combustibile nucleare fuso a oltre mille gradi, è sottoposta a un incessante processo di deformazione e indebolimento – spiega l’ ingegnere Julia Marusic -. Il risultato è che, malgrado gli interventi di consolidamento e riparazione effettuati a più riprese, buchi e crepe continuano ad aprirsi, la pioggia si infiltra al ritmo di 2.200 metri cubi l’ anno, e il rischio di un collasso cresce». Per scongiurare il peggio, entro il 2010 dovrebbe essere costruita una nuova copertura di concezione completamente diversa: una specie di cupola alta 100 metri che sarà montata accanto alla centrale e poi trasportata su binari fino a ricoprire l’ attuale sarcofago: un espediente per risparmiare agli operai radiazioni letali. Ma i costi sono già lievitati da 700 a oltre un miliardo di dollari, e la comunità internazionale (28 Paesi) che aveva promesso di sobbarcarsi le spese, tentenna. Per questo, il senatore Francesco Ferrante, direttore generale di Legambiente, e il parlamentare europeo Vittorio Agnoletto, hanno manifestato davanti alla centrale chiedendo il rispetto dei tempi di realizzazione della nuova struttura. Foresta Martin Franco

24 aprile 2006 il Reportage Avere 20 anni a Chernobyl Una generazione perduta

DAL NOSTRO INVIATO ZNAMENKA (Ucraina) – Tra pochi giorni avrà vent’ anni. Venne alla luce, marchiato dalle radiazioni, dieci giorni dopo la catastrofe nucleare di Chernobyl. Si chiama Grisha: il suo nome e la data di nascita sono stampati sulla spalliera del letto in cui giace. Un lettino adatto alla statura di un bimbo di otto anni. E Grisha sembra proprio un bambino di quell’ età. Rintanato sotto il lenzuolo che lo copre fino al collo, guarda nel vuoto. Da lì, non si alzerà più. Condannato. Accanto a lui, un altro figlio di Chernobyl (quindici, diciotto anni?) succhia il latte da un biberon, fissato alla bottiglia di vetro, vecchio modello. Roba dei tempi dell’ Unione Sovietica: gli interruttori della corrente elettrica, i rubinetti, i lavandini della cucina, le varie suppellettili in uso nell’ orfanatrofio pubblico di Znamenka (cittadina a 4 ore di auto da Kiev, percorrendo le strade dissestate dell’ Ucraina), aperto nel famigerato 1986, l’ anno della tragedia, con le sue cifre di morte, di handicap, di malattie gravissime e gravi. Vanno su e giù i numeri, a seconda delle fonti d’ informazione. Non muta, però, il prezzo troppo alto pagato dalla popolazione. Nel ventesimo anniversario del disastro, un nuovo studio internazionale di Greenpeace (redatto con il contributo di 52 scienziati di tutto il mondo) ritiene, per esempio, che le valutazioni ufficiali dell’ impatto sulla salute siano state largamente sottostimate dall’ Agenzia Internazionale per l’ Energia Atomica (Aiea). Quattromila i morti, secondo l’ agenzia. Molti di più, a detta di Greenpeace. Così come non collimano le cifre sull’ incremento delle malattie tumorali e non. Denuncia Greenpeace: «Nell’ area contaminata (Ucraina, Russia, Bielorussia) vivono dai 5 agli 8 milioni di persone; ancora oggi devono fare i conti con il Cesio 137, e chissà per quanti anni a venire». Nel microcosmo di Znamenka, la cruda realtà non si misura con grandi numeri e statistiche. L’ umanità sfortunata che popola il ricovero dei «reietti» – in tutto 113, dai 4 ai 25 anni – si para davanti, con forza. Un pugno nello stomaco. Poi, piano piano, stanza dopo stanza, le sensazioni tornano sotto controllo. E si riesce perfino a sorridere. Nikolai, un ragazzino di tredici anni dalle braccia lunghe, seduto su una poltroncina, si agita come una marionetta, gesticola. Con una mimica formidabile, reclama la sua parte di caramelle, che i visitatori stranieri stanno distribuendo. Batte le mani di gusto e si mette in posa per una foto. Non sta più nella pelle quando, un istante dopo, si rivede nell’ immagine. Addio Nikolai, e lui riesce a trasmetterci il suo ciao. Gli ambienti dell’ orfanotrofio sono modesti, decrepiti, ma rallegrati da pitture multicolori, da affreschi che creano un gradevole effetto ottico. Gli attrezzi per gli esercizi, i giochi didattici, sono nuovi e funzionali: piccolo patrimonio donato dalle organizzazioni internazionali. Tatiana Ivanovna Volko, direttrice dell’ istituto da un decennio, ci indica Vitali, bambino di 8 anni con la testa vistosamente grossa, e dice: «Rifiutato alla nascita». «Questa è Liana, rifiutata a quattro anni, quando i genitori hanno scoperto il suo problema cerebrale». Altri dolori, altri nomi: Liena, Paviel, Vadim. E Svetlana, diciannovenne che nasconde la testa in un foulard, appena operata per un tumore al viso. Qui, il concetto di rifiuto è litania. Chiarisce la dottoressa Ivanovna: «Molti figli di Chernobyl sono stati abbandonati dai genitori, che non sopportavano di tenere con sé creature handicappate, che non volevano avere l’ orrore davanti agli occhi. Per alcuni il rifiuto si è consumato immediatamente; per altri, non appena i segni dell’ anomalia sono diventati evidenti». «Circa la metà dei nostri ricoverati (tutti con malformazioni cerebrali dalla nascita) – spiega – sono in condizione di totale abbandono. Gli altri ricevono visite saltuarie dai parenti». È comunque difficile stabilire scientificamente (sia per i nati nell’ immediatezza della catastrofe, sia per le generazioni successive) il rapporto tra le malformazioni che toccano il sistema nervoso e le radiazioni nucleari di Chernobyl. È il mistero dei numeri che, del resto, riguarda tutte le patologie. Quante? Quali? Il professor Vladimir Busunov, direttore dell’ Istituto epidemiologico di ricerca e profilassi delle malattie da radiazioni di Kiev, ci ha detto chiaro e tondo: «Un buco nei dati è innegabile. Nell’ 86-87, epoca sovietica, attorno alla centrale ci fu un grande movimento di persone. C’ erano quelli che accorrevano a spegnere il reattore (i liquidatori) e gli evacuati dall’ area contaminata. Ma nessun censimento fu ordinato. In ogni caso, qualsiasi cifra rimase segreta. Sicché lavoriamo, con numeri e raffronti approssimativi». Busunov fornisce qualche elemento sulla natalità post Chernobyl: «Nella zona colpita dalle radiazioni s’ è rilevato un calo vistoso delle nascite. Tre volte inferiori alla mortalità. Si presume, quindi, un incremento significativo di aborti volontari». Per contro, bimbi e giovani come quelli che troviamo nell’ orfanatrofio di Znamenka (e non è l’ unico dell’ Ucraina) sono venuti alla luce con gravi menomazioni. «Sui loro genitori non è stata fatta alcuna ricerca medica – avverte la dottoressa Ivanovna – Ma un dato è inoppugnabile: quasi tutti i padri e le madri di queste creature provengono dalle aree investite dalle radiazioni. Alcuni figurano tra i 90.000 evacuati da Pripyat (la città “fantasma”, che s’ affaccia sul reattore scoppiato ndr) e dai dintorni. Le conclusioni? Non sono scientifiche, certo; ma drammaticamente scontate». Il disastro e la paura L’ ESPLOSIONE L’ esplosione del reattore nucleare di Cernobyl, situato a 110 chilometri da Kiev, avviene il 26 aprile 1986, nella notte tra venerdì e sabato, all’ 1,23 ora locale IL RILEVAMENTO La nube radioattiva che si sprigiona dalla centrale viene rilevata il lunedì successivo in Svezia, ma le autorità dell’ allora Unione Sovietica si rifiutano per tutto il giorno di ammettere che sia accaduto qualcosa IL COMUNICATO Soltanto alle 21 di lunedì Mosca emette un secco comunicato: «Un incidente si è verificato nell’ impianto nucleare di Chernobyl. Uno dei reattori è stato danneggiato. Si stanno adottando misure per eliminare le conseguenze dell’ incidente. Vengono forniti aiuti alle vittime. È stata istituita una commissione d’ inchiesta» LA CATASTROFE Ma il reattore non è solo «danneggiato», in verità brucia a cielo aperto. È stato calcolato che la nube di radioattività era pari a 200 volte quella delle atomiche americane sganciate a Hiroshima e Nagasaki nell’ agosto 1945 L’ ALLARME La nube investe l’ Unione Sovietica e l’ Europa. Scatta l’ allarme. Per mesi non vengono consumati cibi coltivati a cielo aperto. Fumagalli Marisa

24 aprile 2006 LE INIZIATIVE DI SOLIDARIETÀ «Per la chemioterapia bisogna pagare»

DAL NOSTRO INVIATO KIEV (Ucraina) – Ogni anno, in Ucraina, oltre 2.000 bambini si ammalano di cancro. Nel reparto pediatrico dell’ ospedale oncologico di Kiev c’ è posto per 35. Sale a 50, aggiungendo letti in uno spazio già esiguo. Nella sfortuna della malattia, chi arriva qui può considerarsi fortunato: significa che i familiari o qualche benefattore sborsano quattrini per la chemioterapia. Altrimenti, porta in faccia: le casse statali non sono in grado di coprire le spese. Vadim e Valentina, genitori di Katia, 11 anni, affetta da sarcoma a una gamba hanno venduto tutto ciò che potevano vendere. «Anche i parenti, gli amici e i conoscenti si sono indebitati, per salvare la nostra bambina», raccontano. Papà Vadim, tecnico nell’ ospedale della sua città, Krivoy Kog, ha ottenuto perfino di portare a Kiev uno strumento (vecchio di 15 anni) che serve per distribuire, nei tempi programmati, le dosi del farmaco antitumorale. Meglio di niente. Le infermiere scarseggiano, le mamme dei bimbi malati le sostituiscono. L’ emergenza è quotidiana. Il primario del reparto, il dottor Grigory Klimnuk, opera, facendo miracoli. Ma gli apparecchi diagnostici sono insufficienti, e quello che c’ è, è stato acquistato con i fondi delle Onlus. Una di queste organizzazioni è italiana, si chiama «Soleterre». Garantisce al reparto pediatrico alimentazione, cure sanitarie, assistenza psicosociale. Nel ventennale della tragedia di Chernobyl ha lanciato una campagna – testimonial Natasha Stefanenko – di raccolta fondi. L’ adesione, con un sms al 48582. Fumagalli Marisa

9 aprile 2006 Il bilancio Adesso finalmente conosciamo le conseguenze della nube

Sono passati vent’ anni dal 25 aprile 1986, ma l’ esplosione del reattore nucleare che a Chernobyl disperse nell’ aria una pioggia di detriti radioattivi nel raggio di trenta chilometri, rievocata inevitabilmente dall’ anniversario, ancora oggi non lascia indifferenti. Quell’ incidente rappresentò per l’ energia nucleare una battuta di arresto storica. Dal 1956, anno in cui entrarono in funzione i primi reattori, gli impianti crebbero senza sosta fino a quell’ aprile; poi la ripresa ma con estrema lentezza: 423 nell’ 89, 439 nel 1996, 440 oggi. Oggi nuove centrali sono in costruzione in Europa, soprattutto in Finlandia, senza dimenticare che la Francia attinge dal nucleare l’ 83% dell’ energia elettrica (in Italia tutto è ancora fermo dopo il referendum del 1987). Ma una sorta di nuova primavera questa fonte di energia la sta vivendo soprattutto nei Paesi emergenti, Cina, Giappone, India. Ma se oggi sono ben chiare le ripercussioni industriali di quella notte d’ inferno in Ucraina, più complesso risulta il bilancio delle sue conseguenze sanitarie. Bilancio stilato dal rapporto del “Chernobyl Forum” (nato nel 2003) presentato nell’ autunno scorso. Un report di seicento pagine cui hanno lavorato più di cento fra scienziati, esperti di salute pubblica e economisti, sotto l’ egida dell’ IAEF (l’ Agenzia internazionale per l’ energia atomica), l’ Organizzazione mondiale della sanità, la FA0 e i governi di Bielorussia, Russia e Ucraina. Stando a questa relazione conclusiva, i decessi direttamente riconducibili all’ incidente nucleare sarebbero soltanto 58, cifra più bassa di quanto ci si aspettava. Altro dato che sembra certo è l’ aumento di tumori alla tiroide fra quelli che all’ epoca dell’ esplosione erano bambini o adolescenti: 4000 casi fino ad oggi. Ma fortunatamente fra questi i decessi sono stati pochissimi: solo nove, otto ragazzi bielorussi e un russo. Mentre le percentuali di guarigione sfiorano il 99%. Il bilancio si fa più complesso e meno affidabile quando si cerca di fornire cifre su quante morti, fra gli evacuati dalla zona di esclusione (un’ area di trenta chilometri dall’ epicentro del disastro), gli abitanti delle zone più inquinate e i 600.000 “liquidatori”, gli operai mandati da Mosca per bonificare l’ ambiente, sono prevedibili a causa dell’ inquinamento radioattivo: 4000, come sostiene il report, o molte di più? F.P. Porciani Franca

27 marzo 2006 «Io, bambina di Chernobyl, ho capito la libertà da voi»

VENTI ANNI DOPO Il presidente Aleksandr Lukashenko può esultare: l’ ordine regna a Minsk. Per questo Unione Europea e Stati Uniti farebbero bene a smetterla di «tentare di destabilizzare la Bielorussia». Dopo le cariche di polizia sui cortei dell’ opposizione, l’ arresto di uno dei leader della protesta e le polemiche interne allo stesso fronte che considera fasulla la rielezione di Lukashenko, ieri l’ unica manifestazione di piazza si è tenuta davanti all’ ambasciata Usa. Cinquanta giovani, fedeli alla linea del presidente, hanno contestato le ingerenze di Washington. Gli altri, sette – otto mila che sabato hanno dato vita alla prima, vera protesta popolare in questa Repubblica di stampo sovietico, invece, si leccavano le ferite. E non tanto perché le manganellate della polizia sono state pesanti. «Non cambierà mai niente, qui» dice in italiano una ragazza per strada. Le scuole hanno promesso l’ espulsione agli studenti che avessero contestato il voto e lei, per sicurezza, è meglio rimanga anonima. «Siamo pochi, abbiamo paura, ma esistiamo. E’ già una sorpresa. Se uno guarda la tv di Lukashenko crede che gli americani, tra una guerra e l’ altra, vivono da straccioni in periferie violente come i nostri vicini europei. Noi invece siamo nel migliore dei mondi possibile. Peccato che sia falso. E noi, gli ex bambini di Chernobyl, lo sappiamo bene. «A decine di migliaia siamo andati all’ estero per diminuire l’ effetto della fuga radioattiva dalla centrale ucraina. Abbiamo visto al di là delle sbarre e quando siamo tornati abbiamo raccontato un’ altra verità. Per me, ad esempio, il gusto della libertà sarà per sempre quello delle tagliatelle italiane. Ero ospite in un paesino dell’ Emilia. E le tagliatelle proprio non le sopportavo. Ma le mangiavo comunque, come mi hanno insegnato a fare in Bielorussia. La “mamma italiana”, invece, mi ha preso da parte e mi ha detto: “Guarda che puoi scegliere, sei libera di mangiare qualcos’ altro”. Per me è stata una rivelazione. Da allora voglio la libertà di scegliere. Proprio ciò che Lukashenko non sopporta». Andrea Nicastro

26 marzo 2006 La ricerca «Chernobyl I morti sono stati mezzo milione»

LONDRA – Nei 20 anni trascorsi dalla catastrofe Chernobyl, del 26 aprile ‘ 86, almeno mezzo milione di persone sono morte per le conseguenze della nube radioattiva che contaminò parte d’ Europa. E altre 30.000 moriranno nei prossimi anni. È la conclusione alla quale è giunto un team di scienziati dopo aver analizzato più di 50 studi. Le stime – citate dal quotidiano britannico The Guardian, che spiega che il team ha lavorato su incarico di gruppi del parlamento europeo, di Greenpeace e fondazioni mediche in Gran Bretagna, Germania, Ucraina e Scandinavia – contrastano con quelle dell’ Organizzazione mondiale della sanità e dell’ Agenzia internazionale per l’ energia atomica, che prevedevano 4.000 vittime per gli effetti del disastro.

6 settembre 2005 Rapporto delle Nazioni Unite Disastro di Chernobyl «Soltanto 56 morti a causa delle radiazioni»

È stato il più grave incidente atomico mai avvenuto sulla Terra: l’ esplosione della centrale nucleare sovietica di Chernobyl, in Ucraina, il 26 aprile 1986. A vent’ anni di distanza il bilancio reale di quell’ incidente, in termini umani e ambientali, sembra inferiore alle previsioni. Lo rivela un sorprendente studio dell’ Onu pubblicato ieri a Vienna.Il rapporto è stato preparato da un gruppo di oltre cento scienziati di tutto il mondo, compresi esperti di otto agenzie delle Nazioni Unite, in vista del convegno su Chernobyl che si terrà oggi e domani, a Vienna, con la partecipazione di esperti e rappresentanti dei governi di Ucraina, Bielorussia e Russia, che sono gli Stati più vicini al luogo della catastrofe. Un dato per tutti: lo studio in 600 pagine sull’ «eredità di Cernobyl» calcola che sarà di quattromila (e non decine di migliaia come stimato nell’ 86) la cifra finale dei morti legati al caso Chernobyl. Di questi, però, soltanto 56 sono «direttamente attribuibili» alle radiazioni: quasi tutti operai che quel giorno lavoravano all’ impianto.

I villaggi fantasma di Chernobyl

Viaggio nella «zona» radioattiva alla vigilia delle presidenziali

DAL NOSTRO INVIATO DITIYATKI (Ucraina)- Questo villaggio che si trova a 30 chilometri dalla centrale nucleare di Chernobyl ufficialmente non c’ è più. Non esiste il piccolo negozio di alimentari di Natasha, dove le donne vanno a comprare il pane. Non esistono le case che si stendono lungo una strada polverosa e non esiste la scuola. Dopo l’ esplosione del 1986, il governo sovietico stabilì che fossero evacuati e risistemati altrove tutti coloro che si trovavano entro un raggio di 30 chilometri da Chernobyl. La linea tracciata dai burocrati su una mappa passava attraverso Ditiyatki e il villaggio fu ufficialmente «delocalizzato» . Ma la gente rifiutò di andare via. La recinzione che delimita la «zona di esclusione» venne deviata per aggirare il paese che divenne così una «non entità» amministrativa. Valentina, disoccupata con due figli, sta davanti al banco dei biscotti nel negozio di Natasha, ma si vede che non deve comprare nulla. E’ qui perché non ha un altro posto dove andare. Come Yurij, che da mezz’ ora confronta i prezzi delle varie bottiglie di vodka che non si può permettere. Un televisore malandato trasmette notizie di una campagna elettorale incandescente, in vista delle elezioni presidenziali di domenica prossima, che sembra svolgersi a mille miglia da qui. «Parlano di Russia e di Europa, del futuro dell’ Ucraina, ma su di noi nemmeno una parola» si lamenta Valentina. Prima tutti erano interessati al destino di quelli di Chernobyl. «I miei figli sono perfino stati a Napoli per una vacanza. Ma questo accadeva tanti anni fa. Adesso ci danno un’ indennità di due hryvnia al mese per gli adulti (30 centesimi di euro) e di 100 per i bambini (15 euro). E basta». Un’ area vastissima, grande come mezza Italia, è stata colpita dalle radiazioni che fuoriuscirono dal quarto reattore della centrale quando un test andò storto all’ 1,23 del 26 aprile 1986. Nove milioni di persone tra Ucraina, Russia e Bielorussia hanno subìto gli effetti dell’ esplosione, secondo un rapporto dell’ Onu del 1995. La stima dei morti oscilla fra poche decine e centinaia di migliaia. In alcuni casi gli effetti indiretti delle radiazioni si stanno facendo sentire solo ora. La «zona di esclusione» rimarrà radioattiva e non dovrebbe essere abitata. I prodotti della terra sono pericolosi, gli animali non possono essere toccati. Tutto è stato ufficialmente lasciato come vent’ anni fa, quando l’ evacuazione fu attuata in poche ore. Prypiat, il centro più importante nella «zona», è una città fantasma, con i filobus che arrugginiscono in strada, le case ancora piene di effetti personali. Un orsetto di stoffa su una poltrona, un 45 giri con su scritto CCCP buttato in terra. In una base militare sono ammucchiati decine di elicotteri e centinaia di camion. Tutto attorno, una recinzione che cade a pezzi e che non ferma più né uomini né animali. I segni di vita nella «zona» sono ovunque: campi coltivati, camini che fumano. Sono centinaia i pensionati tornati a casa, per disperazione. E quelli di fuori entrano in continuazione. Aleksandr lavora in una fabbrica vicino a Ditiyatki, ma arrotonda lo stipendio con la caccia. «Nella “zona” c’ è di tutto, dai cinghiali alle lepri. Dicono che sono contaminati, ma invece gli animali vanno e vengono, dentro e fuori. E io li prendo». Un amico gli fornisce certificati «di origine controllata» («Carpazi», «Crimea», eccetera) e lui rivende la cacciagione ai ristoranti. Aleksandr è uno dei pochi qui che si appassiona per la campagna elettorale. «Deve vincere Yushchenko perché altrimenti nulla cambierà in questo paese», si accalora mostrando una foto del candidato riformista assieme a tutta la famiglia. Da tempo Yushchenko ha abbandonato l’ attuale presidente Kuchma, del quale era stato primo ministro. Lo accusa di corruzione. Fa campagna elettorale ovunque, piazzerà migliaia di osservatori nei seggi per contrastare i brogli che gli avrebbero scippato la vittoria al primo turno. Dice che il suo avversario di domenica, l’ attuale premier Viktor Yanukovich, è un criminale. Lui vuole portare l’ Ucraina più vicino all’ Unione Europea e agli Stati Uniti (ma fuori dall’ Iraq). Fabrizio Dragosei DICIOTTO ANNI DOPO L’ INCIDENTE 21 novembre LE ELEZIONI PRESIDENZIALI Si sfidano Viktor Yanukovich, candidato dell’ establishment al potere e gradito a Mosca, e Viktor Yushchenko, ben visto in Occidente IL GIORNO DELL’ INDIPENDENZA 24 agosto Nel 1991 l’ Ucraina ottenne l’ indipendenza dopo il collasso dell’ Impero sovietico. Il Paese era entrato nell’ orbita di Mosca nel ‘ 700 L’ INCIDENTE ALLA CENTRALE 26 aprile Nel 1986, 18 anni fa, l’ esplosione più disastrosa nella storia dello sfruttamento civile del nucleare: migliaia di morti, milioni di profughi. Dragosei Fabrizio

25 aprile 2004 Zhenya, 11 anni: in Italia per vivere di piu’ Il bambino di Chernobyl: «Un mese da voi mi fa guadagnare un anno. Ma lì c’ è ancora pericolo» Abita nella zona più colpita 18 anni fa dalla nube radioattiva «E i controlli medici continuano» «Mi piacciono il caldo, la gente, il vostro cibo. Cosa farò da grande? L’ interprete di italiano»

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA – Cinquemila persone in piazza a Kiev, capitale dell’ Ucraina, per ricordare al mondo che la tragedia di Chernobyl non può essere dimenticata, soprattutto da coloro che ancora soffrono delle conseguenze del più grande disastro nucleare. Pensioni da fame, cure inadeguate, impossibilità di condurre una vita normale. Quando il 26 aprile del 1986 scoppiò il reattore numero quattro della centrale, pochi immaginarono che le conseguenze dell’ incidente provocato da errori umani e pessima tecnologia sarebbero state così catastrofiche. Un’ area enorme contaminata direttamente, con migliaia di morti (almeno 25.000, forse molti di più, fino a 300 mila) e intere città evacuate in poche ore. Una nube tossica che raggiunse anche l’ Italia. Migliaia di inconsapevoli operai adibiti senza adeguate protezioni alle operazioni di ripulitura (i famosi «liquidatori»), che in seguito perirono come mosche. E negli anni innumerevoli ammalati di cancro. Oggi parecchi degli abitanti della zona chiusa sono tornati nelle loro case. Per disperazione, per nostalgia, per rassegnazione. Abitano lì; coltivano i pomodori nell’ orto, mangiano i funghi e i mirtilli raccolti nei boschi. Assumono dosi di radioattività altissime. Alla centrale, finalmente chiusa del tutto, lavorano ancora centinaia di operai addetti alla manutenzione e alla vigilanza. Ma il pericolo di nuove fughe radioattive è di nuovo incombente. Il Sarcofago, la struttura di cemento armato nel quale fu rinchiuso il reattore quattro, è pieno di crepe, minaccia di non reggere. L’ enorme blocco deve essere racchiuso in un nuovo super sarcofago studiato dagli esperti. Ma il progetto fa pochi passi avanti. Come al solito, mancano i soldi e la spesa che era prevista in 700 milioni di dollari è ora salita a un miliardo. F. Dr. DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA – Evgenij, o Zhenya, come lo chiamano tutti in famiglia, ha undici anni ed è ancora alle elementari perché in Bielorussia come in Russia i bambini iniziano ad andare a scuola a sette anni. Ma fin da quando era piccolo ha sempre viaggiato, è stato in Italia una dozzina di volte. Una fortuna, rispetto a tanti altri coetanei che da queste parti mettono a mala pena il naso fuori dalla città nella quale vivono. Ma una fortuna dovuta a un fatto assai poco invidiabile. Zhenya vive in una delle zone più contaminate del mondo, uno dei distretti della Bielorussia che 18 anni fa furono investiti in pieno dalla nube radioattiva che il 26 aprile del 1986 si sprigionò dalla centrale nucleare di Chernobyl. Saltò il reattore numero quattro e la nube in poche ore piombò sulla cittadina di Pripyat, poi varcò la frontiera tra Ucraina e Bielorussia. Pripyat, che si trova a pochissimi chilometri dalla centrale, è oramai una città fantasma, evacuata in poche ore mentre si preparava a organizzare la rituale parata del primo maggio. Più in là, nei distretti che furono colpiti ma non così gravemente, la vita va avanti. Perché le autorità assicurano che i pericoli sono relativi e perché, in realtà, la gente ha ben poche alternative. Zhenya è un bambino alto e magro. Pesa poco più di 30 chili e raggiunge il metro e 45. Occhi azzurri, capelli chiari, abita con la mamma Rimma e il papà Yurij nel distretto di Kostyukovichi, subito dopo quello di Gomel, che fu colpito più direttamente. «Il terreno è radioattivo, la zona è pericolosa, lo sappiamo, ma stiamo attenti», dice con rassegnazione la mamma di Zhenya. Rimma è russa, viene dalla regione di Ulianovsk, sugli Urali. E’ arrivata in Bielorussia nel ‘ 90, quando tutti sapevano benissimo come fossero queste zone. E’ andata alla scuola delle cooperative, per diventare commessa. Perché proprio a Kostyukovichi? «Le uniche due alternative che ci offrirono erano entrambe zone radioattive, quindi c’ era ben poco da scegliere», ricorda con filosofia. Yurij, invece è bielorusso e lavora nel cementificio locale. Oltre a Zhenya, la coppia ha un’ altra figlia, Marina, più piccola. Per lei è ancora presto, invece per Zhenya c’ è il programma di permanenza all’ estero che serve proprio per consentire a questi ragazzi di passare un certo numero di settimane all’ anno in zone non inquinate, dove il loro fisico possa riprendersi un po’ . Prima di essere ammesso al programma della Fondazione figli di Chernobyl, Zhenya è stato sottoposto a un’ accurata visita medica a Minsk, la capitale della Bielorussia. «Ancora adesso ogni anno mi controllano la tiroide», dice il ragazzo che ha conoscenze mediche decisamente superiori a quelle dei suoi coetanei. Due volte all’ anno Zhenya parte per l’ Italia, per raggiungere una famiglia che lo accoglie fin dalla prima trasferta. Sempre la stessa, in una cittadina del Veneto non lontano da Venezia. «Mi piace perché siamo anche vicini al mare. E poi ci sono cose buonissime da mangiare, ci sono tante cose da vedere, a Venezia, e in altri posti. Mi hanno portato a Firenze, dove ho visto icone bellissime…». Zhenya passa un mese nel Veneto tutte le estati e poi qualche settimana a Natale. E’ pieno di entusiasmo, quando lo si invita a ricordare i periodi di permanenza nel nostro Paese. Gli piace tutto, rammenta ogni cosa con passione. Il cibo, così diverso e gustoso. Il caldo, la gente. Certo non può fare caso al fatto che anche la stessa aria che respira è assai diversa da quella pericolosa di casa sua. Ma la mamma ne è consapevole: «Un mese in Italia vuole dire un anno in più di vita per il mio Zhenya», dice. Quando torna in Bielorussia Zhenya è sempre pieno di regali. «Un monopattino l’ ultima volta», ricorda. Poi vestiti, dolci, lo zainetto per andare a scuola. «E una macchina fotografica», dice con un sorriso. Adesso il bambino ha imparato l’ italiano, lo parla abbastanza bene. «Sono solo le parole difficili quelle che non conosco», afferma con sicurezza. E da grande? «Voglio fare l’ interprete. L’ interprete di italiano», dice senza esitazione. Come Zhenya, sono decine di migliaia i bambini che in Bielorussia, in Russia e in Ucraina vivono in zone a forte rischio. I livelli di radioattività sono altissimi. Ma non abbastanza per giustificare una decisione delle autorità di spostare milioni di persone. E poi, i quattrini necessari, da dove verrebbero? Fabrizio Dragosei Ospitalità IL FENOMENO Dal ‘ 95 l’ Italia ospita ogni anno migliaia di bambini vittime del disastro di Chernobyl LE REGIONI La regione che ne accoglie di più è la Lombardia dove ne arrivano circa 8 mila. Sono circa 6 mila in Campania, 4.500 nel Lazio, 3 mila in Piemonte e Veneto I COSTI Sono a carico delle associazioni e delle migliaia di famiglie italiane che ospitano i bambini, provvedendo alle spese per il viaggio, l’ interprete e il soggiorno. Dragosei Fabrizio

23 aprile 2003 L’ IMPIANTO DEL DISASTRO NUCLEARE Il sarcofago di Chernobyl rischia di cedere

MOSCA – Il sarcofago di cemento che ricopre uno dei quattro reattori della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, esploso nel 1986, rischia di cedere. È stato il ministro russo per l’ Energia atomica, Alexander Rumyantsev, a lanciare l’ allarme, sollecitando lavori urgenti per rinforzare lo scudo costruito subito dopo l’ esplosione per bloccare le radiazioni. «Ci sono troppe falle: la copertura potrebbe crollare o potrebbero cedere i supporti che la sorreggono», ha affermato Rumyantsev. Il ministro ha precisato che il sarcofago «fu costruito in condizioni proibitive: i tecnici dovettero lavorare in fretta e allontanarsi quanto prima per sfuggire alle radiazioni».

15 dicembre 2000 Nell’ 86 seminò terrore in Europa: oggi l’ ultimo atto. E Mosca accusa l’ Occidente

Chernobyl addio, allarme sui tecniciChiude la centrale: esperti pronti a emigrare nei Paesi che vogliono l’ atomica

NOTEXT LE TAPPE L’ ESPLOSIONE Nella notte tra il 25 e il 26 aprile del 1986 scoppia il quarto reattore della centrale nucleare di Cernobyl (Ucraina): è il disastro nucleare più grave nella storia dell’ atomo LA TRAGEDIA Per il governo di Kiev i morti furono 15 mila, gli invalidi 50 mila e 3,5 milioni i contaminati nella sola Ucraina. Ancora oggi, secondo il rapporto dell’ Onu, 7 milioni di persone soffrono per le radiazioni LO SMANTELLAMENTO Nel 1991 viene chiuso il secondo reattore: restano in funzione il primo e il terzo. Nel 1996, con un accordo tra Ucraina e i Paesi del G7, chiude il primo reattore LA CHIUSURA DEFINITIVA Oggi viene spento il terzo reattore, l’ unico rimasto attivo DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA – Anche il giorno dedicato alle grandi celebrazioni per la chiusura definitiva del «mostro» di Chernobyl ha scatenato nuove polemiche. La centrale a 120 chilometri dalla capitale dell’ Ucraina, Kiev, che nel 1986 provocò la peggiore tragedia nucleare dopo Hiroshima, potrebbe essere all’ origine di nuovi lutti per l’ umanità se i peggiori timori dei servizi di spionaggio occidentali si dovessero rivelare fondati. Migliaia di tecnici altamente specializzati rimarranno, infatti, disoccupati. E c’ è la concreta possibilità che molti di loro decidano di andare a lavorare in Iran, in Iraq, o nella Corea del Nord. La chiusura dell’ ultimo reattore ancora funzionante è stata fortemente voluta dagli Stati Uniti e dall’ Europa, che temono il ripetersi della tragedia del 1986. L’ esplosione di quel 26 aprile ebbe effetti su tutto il continente. Innanzitutto colpì Ucraina e Bielorussia, con decine di migliaia di vittime (una cifra esatta non esiste). Poi i «liquidatori», tecnici e operai mandati a fermare il mostro senza adeguate protezioni. Infine la nube radioattiva arrivò fino in Italia. Ancora oggi attorno al sarcofago di cemento che racchiude il reattore esploso, migliaia di ettari sono inabitabili. Così l’ ultimo reattore ancora in funzione, che assicura all’ Ucraina il 5% del suo fabbisogno elettrico (nel paese ci sono altri 13 reattori), viene chiuso. Ieri c’ è stata una prima cerimonia, alla presenza del presidente ucraino e del primo ministro russo. Poi il reattore è stato riavviato e oggi verrà fermato di nuovo per la diretta televisiva. Una sceneggiata che ha innescato altre polemiche. Comunque per arrivare ad una chiusura totale ci vorranno ancora 8 anni di lavoro da parte di 2-3 mila tecnici. Ma anche la stessa decisione di bloccare Chernobyl viene criticata. «Dopo le centinaia di milioni di dollari spesi dall’ Occidente per rendere sicuro l’ ultimo reattore, perché c’ è bisogno di chiuderlo?», si è chiesto l’ ingegnere capo della centrale Yurij Nerelin. Ed effettivamente Chernobyl oggi non sembra più pericolosa delle decine di altre centrali che hanno la stessa tecnologia e che operano tranquillamente in Russia e Bielorussia. A Mosca non sono d’ accordo con la chiusura e accusano l’ Occidente di «concorrenza sleale». Secondo il ministero dell’ energia atomica, si spinge per la chiusura di Chernobyl al solo scopo di favorire la tecnologia occidentale a scapito di quella russa. Anche le autorità ucraine e la popolazione locale non hanno digerito l’ accordo per fermare Chernobyl. Il parlamento ha chiesto al governo di rinviare il tutto alla fine dell’ inverno. I locali accusano gli alti papaveri di aver raggiunto un accordo sopra le loro teste. Dei 10 mila tecnici impiegati nella centrale, almeno 6 mila dovranno lasciare il lavoro. Per loro è prevista una liquidazione che oscilla tra i 180 e i 360 dollari (fra 400 e 800 mila lire). Poi più niente. Scontenti anche tutti i pensionati che ricevono somme irrisorie per i danni subiti a seguito dell’ esposizione alle radiazioni. In queste condizioni «cosa dovranno fare i tecnici con sofisticate specializzazioni? Rimanere qui a morire di fame?», dice Aleksandr Antropov, responsabile della sala reattori di Chernobyl. E’ chiaro che per loro sarà fortissima la tentazione di accettare proposte di lavoro disinvolte provenienti da quei Paesi che hanno in piedi programmi di armamento mascherati da progetti civili. Fabrizio Dragosei

25 aprile 2000 Chernobyl, il mostro non vuole morire.Dopo 14 anni, cancro in agguato e 6 mila uomini tra le rovine a «liquidare» la centrale. L’ inviato dell’ Onu: «Attenti, il peggio deve ancora arrivare». Gli ucraini hanno promesso di chiudere tutto nel 2000. Ma mancano i soldi. Un’ esplosione all’ una di notte: 300 mila le vittime

Chernobyl, il mostro non vuole morire Dopo 14 anni, cancro in agguato e 6 mila uomini tra le rovine a «liquidare» la centrale DAL NOSTRO INVIATO CHERNOBYL (Ucraina) – Il Medioevo prossimo venturo, con la Morte Nera che una volta spopolava le città dopo l’ arrivo della peste, è già arrivato in questa regione dalla terra nera, fertilissima, che un tempo si vantava di essere il granaio d’ Europa. Ma nessuno ci fa caso. Della catastrofica esplosione della centrale nucleare, avvenuta il 26 aprile 1986, a parte il rituale commemorativo che si rinnova tutti gli anni, il mondo si è dimenticato perché ha deciso di dimenticare. Senza che nulla sia cambiato preferisce pensare che il problema, con il trascorrere del tempo, sia «risolto». Ecco Pripyat, la città satellite dell’ atomo fatta sorgere dal nulla nel 1970 per volere dei pianificatori socialisti, quando era indispensabile alloggiare gli oltre 30 mila tecnici che lavoravano nell’ impianto maledetto di Chernobyl, situato un paio di chilometri più avanti. Da quattordici anni la città dormitorio nucleare è popolata solo di fantasmi, a parte poche sentinelle rinchiuse dentro le garitte di cemento e un paio di veicoli che ogni tanto fanno un giro di perlustrazione. Sulla piazza principale, dietro la Casa della cultura con le scritte quasi cancellate inneggianti al vecchio dogma leninista «il comunismo è il potere socialista più l’ elettrificazione», in quello che era un tempo il luna park c’ è ancora la ruota panoramica ferma, con i carrozzini gialli di lamiera arrugginita. Basta avvicinarsi al parco dei divertimenti radioattivo e il contatore Geiger fa sentire in maniera più insistente il suo sinistro scricchiolio. Dal lato opposto, vicino ai palazzoni tutti uguali di cemento precompresso, che qualcuno dopo l’ evacuazione in massa ha scrupolosamente saccheggiato, ci sono invece le vetrine sfondate dell’ albergo Energetic costruito per ospitare gli ingegneri nucleari. Qui, data la protezione del cemento, la radioattività è più bassa. Ma i 6000 tecnici addetti alla «liquidazione» di Chernobyl sanno che la relativa sicurezza è un’ illusione. Intorno, gli effetti della radioattività sono destinati a continuare per decenni e forse per generazioni. Sia nel primo cerchio della «Zona di esclusione» (che comprende il reattore) che nel secondo (largo 30 chilometri), dal quale è stato indispensabile evacuare oltre 91 mila persone. L’ area di contaminazione comprende l’ Ucraina, la Russia e la Bielorussia, dove vivono 7 milioni di abitanti, di cui 3 milioni sono bambini. «Non si deve dimenticare – avverte Donato Kiniger-Passigli, portavoce dell’ Ocha, l’ ufficio Onu di Ginevra per gli interventi umanitari in caso di catastrofi – che le radiazioni sprigionate dall’ esplosione del reattore numero 4 di Chernobyl sono state pari a più di 200 volte il livello delle due atomiche di Hiroshima e Nagasaki messe insieme. Se si pensa che gli effetti sulla salute umana hanno appena incominciato a manifestarsi, con l’ aumento del numero di casi di cancro alla tiroide provocati da emissioni di iodio radioattivo, si capisce immediatamente perché l’ emergenza vera, a Chernobyl, è quella che deve ancora venire». Il problema degli effetti, spiegano gli esperti sanitari, è complicato dal fatto che mentre il cancro della tiroide si manifesta in un tempo abbastanza breve e quindi il suo insorgere può essere attribuito al fattore Chernobyl con relativa facilità, le altre forme cancerose hanno un decorso di dieci e a volte perfino vent’ anni. «La radioattività – continua Kiniger-Passigli – è una sciagura invisibile. Nella prateria spopolata si aggirano bisonti, cinghiali e volpi, uccelli di ogni specie in piena libertà. Nei fiumi nuotano pesci enormi lunghi perfino tre metri. Nei boschi si aggirano i cosiddetti samosëly, i pochissimi vecchi contadini che sfidando il divieto sono ritornati nelle fattorie e vivono allevando bestiame o raccogliendo funghi e frutti probabilmente contaminati. Sì, la campagna intorno a Chernobyl può anche dare l’ impressione di un Eden. Ma è un Eden che uccide». La parola, che ricorre più spesso a Chernobyl, è liquidatsija che vuol dire «liquidazione» nel senso di eliminazione fisica ed è poi lo stesso termine falsamente clinico usato per legittimare in qualche maniera il terrore al tempo di Stalin. Gli unici residenti autorizzati, a Chernobyl, sono i cosiddetti «liquidatori», circa 6 mila fra tecnici, addetti ai servizi e addetti alla sicurezza. La messa in liquidazione, ovvero in riposo, della centrale nucleare che è esplosa e delle altre tre centrali, che dovranno essere spente, è infatti un lavoro ciclopico, complicatissimo sotto l’ aspetto dell’ ingegneria e che verrà a costare moltissimi miliardi di dollari. Chiave di volta (ma assai vacillante) del lavoro di messa in riposo delle quattro centrali sarà, almeno in attesa di trovare qualche sistema meno insicuro, il cosiddetto «sarcofago». Si tratta, semplificando al massimo, di una specie di colossale coperchio di cemento armato: un coperchio, comunque, non a tenuta stagna, per il costo che sarebbe salito altrimenti a livelli assurdi e anche per i rischi mortali a cui si sarebbero dovuti sottoporre gli operai incaricati di costruirlo. Così, cercando di raggiungere un compromesso fra l’ efficacia e il costo, il reattore è stato circondato, per mezzo di gru radiocomandate, da una copertura di cemento che assorbe una parte notevole delle radiazioni, ma non risolve per sempre il problema. Con il tempo, infatti, il «sarcofago» slitta e minaccia di precipitare. «Veramente – dice un alto funzionario occidentale che ha seguito il progetto – il rischio è che nel giro di cento o duecento anni la contaminazione radioattiva raggiunga il fiume Dnieper e quindi i serbatoi idrici di Kiev, la capitale dell’ Ucraina che conta quasi 5 milioni di abitanti. Ma di questo pericolo i politici preferiscono non dire nulla. Perché la speranza è che, da qui al 2100, l’ umanità riesca a escogitare un sistema migliore per neutralizzare Chernobyl». L’ Ucraina ha promesso alla comunità internazionale di «liquidare» Chernobyl entro la fine del 2000, ma si è guardata bene dall’ indicare una data. Mancano i soldi. La Gran Bretagna due settimane fa ha promesso al governo di Kiev 17 milioni di dollari (834 miliardi di lire) come contributo per chiudere Chernobyl e costruire altre due centrali più sicure. Per ora, non si riescono a raggranellare neppure i 10 milioni di dollari (20 miliardi di lire) per finanziare le (limitate) iniziative di pronto intervento messe in cantiere dall’ Onu. Venti miliardi, il prezzo di una ventina di appartamenti in una città occidentale. Ma l’ Occidente ricco e distratto non vuole pagare neppure questo. Renzo Cianfanelli Un’ esplosione all’ una di notte: 300 mila le vittime L’ INCIDENTE Chernobyl, attuale Ucraina, 26 aprile 1986, ore 1.24: durante un test di sicurezza il reattore 4 esplode per un guasto all’ impianto di raffreddamento I DANNI L’ inquinamento radioattivo a Chernobyl è stato pari a 200 volte quello di Hiroshima e Nagasaki. LE VITTIME Tra il personale e i soccorritori, 31 subito e 5 mila negli anni successivi. Si calcola che le morti indirette legate alla nuvola radioattiva siano 300 mila. Paesi più colpiti: Bielorussia e Ucraina. IN ITALIA Per l’ Istituto superiore della Sanità, 3 mila italiani moriranno per malattie legate a Chernobyl CHIUSURA Prevista: entro la fine dell’ anno. In Russia sono in attività altri 11 reattori simili. Cianfanelli Renzo

1 dicembre 1996 Chernobyl, chiuso terzo reattore Ma con l’ arrivo del gelo c’ e’ chi teme una nuova catastrofe

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA – A Chernobyl viene fermato uno dei due reattori ancora funzionanti della centrale che nel 1986 provocò il piu’ grave disastro nucleare della storia. Ma, secondo alcuni, non e’ una notizia rassicurante. C’ e’ chi teme il peggio. Con un solo reattore in funzione durante l’ inverno, potrebbero sorgere grossi problemi per il sistema di raffreddamento del materiale fissile nel caso che anche questo ultimo reattore dovesse avere improvvisi problemi. Con il freddo, i tubi che portano l’ acqua necessaria per il raffreddamento potrebbero gelare, determinando una situazione di emergenza nel reattore eventualmente fermo a causa di un qualche guasto. A quel punto i tecnici dovrebbero rapidamente rimettere in funzione il reattore fermato ieri. Ma la cosa potrebbe non funzionare. Oggi la situazione a Chernobyl e’ questa. Il reattore numero 4, esploso nel 1986, e’ racchiuso nel cosiddetto “sarcofago”, un immenso cubo di cemento armato che fu costruito per evitare ulteriori fughe radioattive. Solo che, secondo gli ucraini, il sarcofago e’ pieno di crepe e, per il peso, affonda nel terreno. Poi c’ e’ il reattore numero 2, che nel 1991 venne fermato a seguito di un incendio. Adesso si parla di rimetterlo in funzione per la fine dell’ anno prossimo. Fino a ieri funzionavano il numero 1 e il numero 3. Le autorità ucraine si sono impegnate a chiudere l’ intera centrale nucleare entro il 2000. Ma il tutto e’ condizionato dai problemi energetici del paese. Solo assicurando la costruzione di altre centrali, con finanziamento internazionale, sara’ possibile arrivare veramente alla chiusura. Si parla di centrali a gas, o anche di impianti nucleari che usano una tecnologia diversa da quella di Chernobyl. Ieri e’ stato dato l’ annuncio che in serata veniva fermato il reattore numero 1, che gia’ lavorava a capacità dimezzata. Non e’ stata ridotta gradualmente l’ attivita’ , ma si e’ deciso invece di fermare di colpo il reattore alle 23 di ieri sera. L’ Ucraina si era impegnata a mantenere in funzione un solo reattore dalla fine del 1996, anche se aveva protestato: “E’ estremamente pericoloso avere un solo reattore in funzione durante l’ inverno”, aveva detto il capo dell’ equipe di negoziatori ucraini tempo fa. Recentemente anche il reattore numero 4, chiuso nel sarcofago, ha fatto sentire la sua voce. Due mesi e mezzo fa il reattore ha “brontolato” per la terza volta in dieci anni e i contatori installati all’ interno del sarcofago hanno registrato un aumento di radioattività . Come si ricorderà , il 26 aprile dell’ 86 il quarto reattore esplose, rilasciando una enorme nube radioattiva. I piu’ colpiti, ovviamente, furono gli abitanti dell’ Ucraina e della vicina Bielorussia. Ma la nube, spinta dai venti, investì buona parte dell’ Europa. Per mesi l’ impressione fu enorme, e tutti giurarono di voler “fare qualche cosa”. Ma in pratica i governi si sono limitati a chiedere la chiusura della centrale e a promettere fondi mai sborsati. L’ ultimo summit sulla centrale si e’ svolto a Mosca nell’ aprile scorso, in occasione del vertice dei sette paesi piu’ industrializzati. Il presidente ucraino si e’ impegnato a far arrestare uno dei due reattori ancora in funzione entro la fine dell’ anno e a bloccare del tutto la centrale entro il 2000. Per il sarcofago si e’ deciso un intervento straordinario, con un costo di un miliardo di dollari che dovrebbe essere coperto dai sette. Contemporaneamente dovrebbero essere costruite due nuove centrali “sicure” (?) per coprire il fabbisogno energetico della repubblica ex sovietica. Ma in questi mesi in Ucraina non hanno visto nemmeno una lira.

21 aprile 1996 Dieci anni dopo l’ incidente nella centrale ucraina l’ Istituto superiore di sanità pubblica i dati Chernobyl ha ucciso anche in Italia: tremila i tumori provocati

Dieci anni dopo l’ incidente nella centrale ucraina l’ Istituto superiore di sanità pubblica i dati TITOLO: Chernobyl ha ucciso anche in Italia: tremila i tumori provocati – ROMA . Dieci anni sono trascorsi dall’ incidente di Chernobyl e ora si scopre che le conseguenze della nube radioattiva sul nostro Paese sono state ben piu’ gravi di quanto si era ipotizzato: i morti in Italia sarebbero 3000. Questo e’ il drammatico bilancio stilato dai ricercatori dell’ Istituto superiore di sanità sulla base di migliaia di misurazioni effettuate in dieci anni che hanno permesso di determinare la dose collettiva di radioattività assorbita dalla popolazione italiana. Elaborando questo dato sulla base della “formula di incremento rischio” accettata dalla comunità scientifica internazionale, si e’ giunti alla cifra di 3000 casi di tumori letali. Molti dei radionuclidi che “piovvero” sul territorio italiano si sono dissolti col tempo, ma alcuni (come gli isotopi del cesio) si ritrovano ancora oggi sul terreno, anche se la loro pericolosità si va esaurendo. Con la stessa metodologia impiegata per stimare i casi di morte, i ricercatori hanno potuto calcolare le dosi di radiazioni risparmiate alla popolazione grazie ai divieti del 1986 sul latte e sulle verdure contaminate. Anche in questo caso il numero di vite salvate si avvicina a quello delle vittime. La relazione scientifica contenente questi dati verrà discussa il 26 e 27 prossimi nel corso di un convegno organizzato a Roma dall’ Agenzia nazionale per la protezione dell’ ambiente, ma e’ evidente gia’ ora che le conseguenze della nube non sono state “irrilevanti” come venne affermato subito dopo l’ incidente. F. Martin a pagina 33 Dragosei a pagina 8

14 aprile 1996Chernobyl: 200 volte peggio di Hiroshima e NagasakiLa nube radioattiva attacco’ i territori della Bielorussia, dell’ Ucraina e parte della Russia. Maggior problema e’ il cesio

L VIENNA a ricorrenza dei dieci anni dall’ incidente alla centrale nucleare ucraina di Chernobyl (26 aprile 1986) ha dato vita a una serie di importanti convegni scientifici in diverse sedi europee. L’ ultimo e il piu’ ricco di contributi si e’ svolto a Vienna la settimana scorsa (“Una decade dopo Chernobyl, bilancio delle conseguenze dell’ incidente”) su iniziativa dell’ Agenzia internazionale per l’ energia atomica (Aiea) e dell’ Organizzazione mondiale della sanita’ (Oms). Dopo anni di un caotico bombardamento di dati e di previsioni a Vienna si e’ tentato di distinguere le conseguenze sanitarie effettivamente accertate e su cui la comunita’ scientifica ha raggiunto un accettabile consenso da quelle in cui permangono margini di incertezza. Sono state tentate anche previsioni sull’ evoluzione delle conseguenze sanitarie. La sensazione comune a diversi osservatori e’ che l’ organismo ospitante e promotore del convegno, l’ Aiea (che, giova ricordare, per conto delle Nazioni Unite, svolge un ruolo di controllo e promozione dell’ energia nucleare nel mondo), continui a privilegiare una interpretazione estremamente conservativa degli effetti dell’ incidente. All’ opposto, da parte delle tre Repubbliche ex sovietiche c’ e’ una tendenza a enfatizzare dati e problemi. Tuttavia, negli ultimi anni, la massiccia partecipazione di enti di ricerca e di universita’ di varie nazioni ai progetti per lo studio delle conseguenze dell’ incidente ha favorito una maggiore correttezza e trasparenza sia nella impostazione delle ricerche sia nella comunicazione. Il rilascio radioattivo Le stime sulla quantita’ del materiale radioattivo fuoriuscito dal nocciolo sono cresciute col tempo. Oggi si ha la certezza che nella vera e propria eruzione, durata dieci giorni, dal 26 aprile al 6 maggio 1986, il reattore di Chernobyl ha disperso nell’ atmosfera fino al 60% di iodio radioattivo e fino al 40% di cesio, oltre a percentuali variabili di altre decine di radionuclidi contenuti nel nocciolo. Il tutto assomma a oltre 150 milioni di Curie che possono essere confrontati a ben 200 volte l’ inquinamento radioattivo provocato dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki messe insieme (valutazione Oms). La deposizione della nube radioattiva, condizionata dai fattori meteorologici, e’ avvenuta a macchia di leopardo colpendo soprattutto i territori densamente popolati della Bielorussia (2 milioni di persone coinvolte), dell’ Ucraina (1,5 milioni) e della Russia, regione di Brianski (oltre 300 mila persone). Oggi il problema principale e’ costituito dalla persistenza nell’ ambiente del cesio 137 che ha una vita media di trent’ anni e che e’ entrato nella catena alimentare. Oltre all’ esposizione esterna dovuta alla contaminazione del terreno, che nella media puo’ essere valutata in una moltiplicazione di alcune volte il fondo naturale di radioattivita’ , bisogna anche tener conto, ai fini sanitari, dell’ ingestione di alimenti contaminati. I morti e i liquidatori All’ indomani dell’ incidente alcuni esperti filonucleari affermarono che i morti causati da Chernobyl si potevano contare con le dita e che quindi l’ incidente poteva essere ricondotto a uno dei tanti disastri a impianti convenzionali. Il tempo sta dimostrando la parzialita’ di queste affermazioni. I morti immediati fra il personale della centrale e i primi soccorritori furono 28. Altri 14 uomini sono morti nei mesi o negli anni successivi per le conseguenze della “sindrome da radiazioni acute” che colpi’ 237 pompieri e militari. Le altre vittime dei primi interventi devono essere ricercate fra i circa 650 700 mila cosiddetti “liquidatori” impiegati per contenere l’ eruzione radioattiva e intombare il reattore. Secondo i registri sanitari i piu’ a rischio sono 200 mila liquidatori che hanno assorbito dosi fra 100 e 200 milli Sievert. Fonti ufficiali ucraine e russe sostengono che piu’ di 10 mila liquidatori sono gia’ morti e che si notano fra essi significativi aumenti (fino al 20%) di cancri e leucemie. L’ Oms non conferma queste cifre a causa della precarieta’ con cui sono stati tenuti i registri sanitari e osserva che il tasso di mortalita’ fra i liquidatori e’ confrontabile a quello di un gruppo di controllo russo. Ora e’ stato avviato un progetto di ricerca per monitorare l’ intera popolazione dei liquidatori. Le tiroidi dei bambini La conseguenza piu’ eclatante della contaminazione radioattiva e’ data dall’ aumento dei casi di carcinoma alla tiroide nei bambini e negli adolescenti al di sotto dei 15 anni. La responsabilita’ e’ attribuita alla massiccia contaminazione di iodio 131 e 133. Finora risultano colpiti piu’ di 600 bambini. Il fenomeno fu segnalato per la prima volta nel 1992 e ancora nel 1994 non veniva riconosciuto come certo. C’ e’ voluto un incremento di cento volte la media pre Chernobyl nella regione di Gomel, Bielorussia, perche’ l’ esplosione dei casi fosse accettata come sicura. Per fortuna la sopravvivenza da carcinoma alla tiroide ha raggiunto oggi il 90 95% dei casi. In ogni modo la sorte di decine di bambini e’ purtroppo segnata. Secondo l’ opinione di uno dei massimi esperti che ha operato nelle zone colpite per conto dell’ Oms, il professor Aldo Pinchera, endocrinologo dell’ Universita’ di Pisa, e’ impossibile prevedere oggi se la curva delle frequenze ha raggiunto l’ acme oppure se continuera’ a crescere. In ogni caso e’ necessario pianificare gli interventi sanitari in modo da controllare precocemente l’ insorgenza di altri tipi di affezioni tiroidee. Foresta Martin Franco

13 aprile 1996 Concluso il summit a Vienna Nube di Chernobyl Fra dieci anni migliaia di malati

DAL NOSTRO INVIATO VIENNA . I prossimi dieci anni saranno decisivi per rendersi conto dei devastanti effetti sulla salute e sul tessuto sociale dell’ incidente di Chernobyl. Considerati i lunghi tempi di latenza della maggior parte dei tumori indotti dalle radiazioni, le malattie fra le popolazioni investite dalla nube esploderanno a decine di migliaia poco oltre il 2000. E non sempre sara’ possibile distinguerle dalle patologie analoghe indotte da altri fattori ambientali e che, purtroppo, sono anch’ esse in continua crescita. Si chiude con questa tragica consapevolezza il convegno sul decennale di Chernobyl che si e’ svolto per una settimana a Vienna su iniziativa congiunta dell’ Agenzia internazionale dell’ energia atomica (Aiea) e dell’ Organizzazione mondiale della sanita’ (Oms). Dal punto di vista del metodo ci sono da registrare alcuni sostanziali passi avanti rispetto a un analogo summit tenuto a Vienna cinque anni fa. Allora l’ Aiea, con una decisione che desto’ disapprovazione pure fra molti cultori dell’ energia nucleare, presento’ un rapporto sugli effetti dell’ incidente che non prendeva in considerazione ne’ le popolazioni evacuate dalle zone contaminate (circa 300 mila persone) ne’ i “liquidatori dell’ incidente”, cioe’ i circa 700 mila pompieri e militari che lavorarono al contenimento dell’ incidente e alla bonfica dell’ impianto. Ormai quell’ incredibile omissione e’ stata superata e hanno assunto piena visibilita’ i cancri alla tiroide (finora oltre 600) in costante aumento presso i bambini bielorussi, ucraini e russi, i devastanti effetti psicologici dell’ incidente, e le estese contaminazioni ambientali. Il danno economico complessivo del disastro e’ stato valutato dagli esperti in 235 miliardi di dollari (circa 350 mila miliardi di lire al cambio attuale). Il rogo di una centrale vulnerabile e insicura e’ costato, in altri termini, quanto una cinquantina di centrali nucleari relativamente piu’ sicure. Per questo il ministro dell’ Ambiente tedesco Angela Merkel, che ha presieduto i lavori del summit, pure confermando in pieno la necessita’ di continuare a fare uso dell’ energia nucleare, ha sottolineato, nelle conclusioni finali, che la sicurezza degli impianti deve avere priorita’ assoluta. “I rischi inaccettabili devono essere eliminati chiudendo senza esitazione gli impianti laddove non fosse possibile migliorare i loro requisiti di sicurezza”. Il riferimento e’ rivolto alla quindicina di centrali di tipo Chernobyl ancora funzionanti nell’ Est, che non offrono adeguate garanzie malgrado le modifiche apportate negli ultimi anni. Secondo gli impegni assunti dai Paesi dell’ ex Urss lo smantellamento di queste centrali insicure dovrebbe avvenire entro cinque o sei anni. L’ aspetto piu’ criticato della conferenza, sia dalle repubbliche bielorussa e ucraina, che dagli ambientalisti di Greenpeace che ieri hanno manifestato all’ esterno del palazzo dell’ Aiea, riguarda la sistematica sottovalutazione dei casi di malattie gia’ accertati e di quelli previsti per il futuro, soprattutto fra il gruppo dei liquidatori. Le notizie che fra questi lavoratori si sarebbero registrate gia’ migliaia di morti sono state fermamente smentite sia dall’ Aiea che dallo stesso presidente del convegno. Foresta Martin Franco

12 febbraio 1996 Dieci anni dopo Chernobyl fa ancora pauraSecondo l’ Organizzazione Mondiale della Sanita’ le vittime dell’ esplosione sono ancora in aumento. Gli studi sugli effetti potrebbero fornire un aiuto per sconfiggere il cancro

Con i dati presentati alla Conferenza dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), tenutasi recentemente a Ginevra, crescono le preoccupazioni per gli effetti a distanza della tragedia di Chernobyl, molto spesso minimizzati con l’ attenuante che il periodo trascorso era troppo breve per poter emettere un giudizio attendibile. Ora, dieci anni dopo l’ esplosione nel reattore nucleare, la realta’ sembra purtroppo andare ben oltre le piu’ nere previsioni: le statistiche raccolte con i criteri piu’ rigorosi parlano di un cospicuo aumento dei casi di cancro, specialmente tra i bambini. Esattamente quaranta secondi dopo l’ una e ventitre’ del 26 aprile 1986, si verificava una terrificante esplosione nel reattore n. 4 della centrale nucleare di Chernobyl, una localita’ situata circa 130 chilometri a nord di Kiev, in Ucraina (allora Unione Sovietica). L’ esplosione. Nel giro di pochi secondi il nocciolo del reattore era passato dal 7 al 50 per cento della sua potenza; erano saltati tutti i sistemi di controllo e l’ acqua di raffreddamento era evaporata creando una massa di ossigeno che esplose. L’ onda d’ urto fece saltare l’ edificio del reattore e subito s’ innalzarono alte fiamme. A contatto con l’ aria la grafite aveva preso fuoco, la temperatura s’ era bruscamente elevata e i vapori avevano proiettato a 1.200 metri d’ altezza una micidiale miscela di radionuclidi. Il calore fuse in parte il nucleo del reattore; questo continuo’ a sparare nel cielo particelle radioattive di iodio, cesio e stronzio, che i venti presero a sospingere verso la Polonia e la Scandinavia. Nell’ atmosfera vennero immessi piu’ di 50 milioni di curie, pari a 50 volte quelli liberati dalla prima bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. Le vittime. Secondo le prime stime, 31 furono le vittime al momento dell’ incidente e altre 175 persone caddero immediatamente preda della malattia da raggi; le 135.000 persone che vivevano nell’ ambito di 1.000 chilometri quadrati furono prontamente evacuate. Nel volgere di poche ore, la vecchia citta’ di Chernobyl e quella nuova di Pripyat divennero citta’ fantasma; non v’ erano piu’ ne’ uomini ne’ animali, nemmeno i topi. Dovettero essere evacuati anche tanti altri piccoli villaggi compresi nella Opasnaja Zona, la “zona pericolosa”. La nube tossica. Nei dieci giorni successivi all’ esplosione gli elicotteri dell’ esercito sovietico sganciavano sulla centrale 5.000 tonnellate di boro, dolomite e sabbia, nel tentativo di spegnere l’ incendio. Ma i venti continuavano a sospingere la micidiale nube radioattiva su ampie aree: sulla Romania, l’ Italia, la Lapponia, la Svezia, la Norvegia (a 1.700 km) e il Galles (a 2.500 km). Ma livelli elevati di radioattivita’ furono registrati anche in Israele, Giappone e Stati Uniti. Effetto sull’ organismo. Presto arrivarono notizie di nuovi morti: erano coloro che avevano ricevuto la maggior quantita’ di raggi. Centinaia di altri presentavano riduzione dei globuli bianchi, lesioni del fegato e dell’ intestino, come anche diarrea, vomito, diminuzione delle piastrine, perdita di peli e di capelli. I trapianti di midollo. Particolarmente gravi apparvero subito gli effetti destruenti delle radiazioni sul midollo osseo. Non essendo disponibili in URSS esperti di tecniche del trapianto, fu chiamato dagli Stati Uniti uno dei massimi esponenti del settore, Robert Gale. In un primo momento Gale si occupo’ di 500 pazienti, 300 a Mosca e 200 a Kiev, tutti provenienti dalle zone immediatamente vicine al luogo del disastro. Coadiuvato da e’ quipe miste statunitensi e sovietiche, effettuo’ 13 trapianti di midollo (ma un solo paziente sopravvisse). A sei altri pazienti gravemente irradiati per i quali non era stato possibile saggiare la compatibilita’ con il midollo di potenziali donatori, essendo stati i loro globuli bianchi tutti distrutti, fu praticato il trapianto di cellule di fegato fetale. I veri dati. Oggi, dopo dieci anni, si viene a sapere che nella sola Bielorussia, che conta 10 milioni di abitanti, si sono verificati negli ultimi anni almeno 400 casi di tumori della tiroide tra i bambini, il che significa un incremento di oltre 36 volte rispetto all’ incidenza media prima della tragedia, con punte di 100 volte in alcune zone. Per di piu’ questi tumori mostrano una particolare aggressivita’ e, pur potendo in linea di massima essere controllati, impongono per il trattamento mezzi e attrezzature che in quel paese scarseggiano notevolmente. Nello stesso periodo e’ stato registrato anche un netto incremento dei tumori della mammella e della vescica, delle leucemie e delle malattie renali. Nuove conoscenze. Questo imprevisto cosi’ rapido aumento dell’ incidenza di cancro specie tra i bambini, che non trova riscontro alcuno in precedenza, sta offrendo se non altro agli studiosi una preziosa occasione per approfondire le conoscenze sulla formazione del cancro, sulla biochimica e biologia molecolare dei tumori e sul monitoraggio delle Ecco le malattie che si mettono in relazione alle conseguenze dell’ incidente di Chernobyl. Cancro della tiroide. Questa e’ l’ unica malattia di cui si e’ osservato con certezza un aumento: dall’ incidente a oggi l’ incidenza e’ sestuplicata (ha colpito 680 bambini, dieci dei quali sono gia’ morti). I primi casi sono emersi appena 4 anni dopo il disastro, mentre tra i sopravvissuti di Hiroshima l’ aumento si riscontro’ solo 10 anni dopo. Leucemie e altri tumori. Proprio in base alle ricerche condotte sui superstiti giapponesi gli scienziati si sono convinti che presto aumenteranno le leucemie, e tra alcuni anni i tumori della pelle, del seno, dei polmoni e dell’ intestino. Malattie non tumorali. In proposito ci sono opinioni discordanti, ma a Ginevra e’ stato presentato il primo studio a conferma dell’ ipotesi secondo la quale le radiazioni causerebbero anche malattie cardiovascolari (ictus e infarto), cirrosi epatica e ipertiroidismo. Senza contare gli scompensi legati allo stress subito dalle 135mila persone evacuate senza ricevere informazioni affidabili sui pericoli incombenti. Patologie fetali. Danni irreversibili al cervello per i feti in gestazione al momento dell’ esposizione alle radiazioni. f. t. Sterpellone Luciano

27 gennaio 1992 Cernobyl: le vittime saranno un milione?

in un’ intervista al settimanale tedesco ” Der Spiegel ” il fisico nucleare ucraino sostiene che almeno un milione di persone sono morte o sono destinate a morire a causa dell’ incidente al reattore di Chernobyl

BONN . Un milione di uomini sono morti o sono destinati a morire a causa dell’ incidente al reattore nucleare di Cernobyl del 1986, secondo il fisico nucleare ucraino Vladimir Cernosenko. In un’ intervista al settimanale tedesco “Der Spiegel” in edicola oggi, lo scienziato parla di circa un milione di uomini che sono stati e vengono tuttora impiegati come “liquidatori” dei danni causati dalla fuga radioattiva in una zona di pericolo ampia una trentina di chilometri. Cernosenko, che non si definisce “un avversario dell’ energia atomica” ma uno che mette in guardia contro “l’ impossibilita’ di un reattore assolutamente sicuro”, afferma che la dimensione dei danni causati al nostro pianeta da Cernobyl rappresenta “una delle piu’ grandi catastrofi nella storia dell’ umanita’ “. Secondo Cernosenko, si avranno anche danni genetici sui discendenti dei “liquidatori”, soprattutto giovani militari tra i 19 e i 20 anni. Egli si dice convinto che con Cernobyl e’ cominciata la “rovina” dell’ ex.presidente sovietico, Mikhail Gorbaciov. “Egli sapeva piu’ di quanto ha reso pubblico”, ha detto lo scienziato, aggiungendo che Gorbaciov, con le sue informazioni sbagliate, ha deluso le speranze del suo popolo. A sviare l’ opinione pubblica, minimizzando il fatto, contribui’ , secondo Cernosenko, anche l’ Agenzia internazionale per l’ energia atomica (Aiea).