Il dopo Chernobyl

A seguito dell’esplosione grandi quantità di sostanze radioattive della zona attiva del reattore sono state espulse nell’atmosfera e successivamente hanno causato la contaminazione radioattiva dell’ambiente nella Repubblica di Belarus, in Ucraina, nelle regioni occidentali della Russia e anche in altri paesi dell’Europa occidentale.

La formazione delle zone di contaminazione radioattiva dopo l’incidente è avvenuta in funzione della dinamica delle fuoriuscite dal reattore avariato e dalle condizioni meteorologiche.

Queste ultime nei primi tre giorni erano tali che hanno spostato la nube radioattiva verso la Bielorussia, che è stata il paese maggiormente contaminato.

Gli isotopi inquinanti più significativi sono il cesio137, lo stronzio90 e lo iodio131.

Inoltre durante il processo di smantellamento del reattore, da 2400 a 6720 tonnellate di piombo vennero versate dagli elicotteri sull’impianto, con lo scopo di schermare le radiazioni. Il piombo, fuso ed evaporato, è entrato nell’atmosfera causando l’inquinamento del terreno per diverse centinaia di chilometri attorno a Chernobyl.

Attualmente, dopo la disintegrazione naturale dei radionuclidi a vita breve, compreso lo iodio131, il maggior pericolo è rappresentato dal cesio137, stronzio90, plutonio e piombo.

Il plutonio è praticamente eterno, ma è rilevato soprattutto vicino a Chernobyl.

Il mostro è morto: l’impianto di Chernobyl, responsabile di uno dei più gravi incidenti nucleari della storia, ha chiuso definitivamente i battenti lo scorso 15 dicembre, tra cerimonie ufficiali e riprese televisive in puro stile sovietico.

Così, a distanza di anni dalla fatidica notte del 26 aprile 1986, quando il reattore numero quattro si è letteralmente sciolto, rilasciando nell’aria una nube di isotopi radioattivi che per giorni ha infestato i cieli di tutta Europa e tutt’oggi continua a contaminare il terreno della Bielorussia e dell’Ucraina, l’ultimo reattore rimasto in funzione dei quattro originari è stato spento. E in condizioni di massima sicurezza, grazie ai sostanziosi contributi (oltre 700 milioni di dollari) garantiti da quaranta nazioni, si è intervenuti per schermare con un sarcofago di cemento il cadavere dell’impianto in modo da impedire la continua fuoriuscita di radiazioni: quello costruito in tutta fretta dai sovietici subito dopo l’incidente, infatti, da anni fa acqua da tutte le parti.

Tutto a posto, allora?

Il mondo intero, ma soprattutto le popolazioni ucraina e bielorussa, potranno tirare finalmente un sospiro di sollievo?

La speranza è che sì, che l’incubo di impianti nucleari obsoleti e pericolosi, vere mine vaganti per tutta l’umanità, sia finito.

E invece…

Invece no: perché solo in Ucraina continueranno a funzionare una dozzina di centrali nucleari sorelle di quella di Chernobyl, mentre altre dello stesso tipo sono sparse nei territori dell’ex Unione Sovietica.

Queste mine, dunque, continueranno a vagare ancora per un bel po’ di tempo. Anzi, la situazione è destinata addirittura a peggiorare, come avvertono dal Center for non proliferation studies dell’Instituite of international studies di Monterey, in California. “Il ministro dell’energia atomica russo, Evgeny Adamov, sta sponsorizzando una legge che vuole affidare il controllo sugli impianti nucleari allo stesso ministero, sottraendolo al GAN, ossia l’ispettorato federale per la sicurezza nucleare, un ente indipendente. Si prospetta così un ritorno alla gestione dell’era pre Chernobyl, i cui risultati, purtroppo, si è avuto modo di sperimentare a fondo” sostengono sulle colonne dell’Internazionale Herald Tribune Cristina Chuen e Elena Sokova, ricercatrici dell’istituto californiano che tentano in questo modo di sensibilizzare i paesi occidentali rispetto a questo aspetto. “La creazione di un’agenzia di controllo per l’energia nucleare è stato uno dei frutti della nascente democrazia nell’ex Unione sovietica, nei primi anni novanta.

Oggi il ministero dell’energia atomica tenta di riguadagnare potere. La scorsa estate ha ottenuto di impedire al GAN di interferire con le attività nucleari connesse a strutture militari, ora sta cercando di togliere al GAN qualsiasi giurisdizione anche sugli impianti civili. Così, si arriverà all’assurdo di un ente che controllerà se stesso. Come dicono i russi, è come lasciare un lupo a guardia delle pecore”.

Che non si tratti di un pericolo aleatorio è confermato dalle parole di Yuri Vishnevsky, presidente del GAN: “Lo scorso anno abbiamo tentato di far chiudere due reattori nucleari a plutonio vicino a Tomsk, in Siberia, perché non sicuri. Ma il Ministero dell’energia atomica, complice il governo, ha deciso di continuare a farli funzionare”.

A meno di un intervento internazionale deciso che faccia pressione sui politici russi, e che magari garantisca cospicui (e controllati) finanziamenti per la costruzione di impianti più sicuri (o meglio, per la conversione ad altre forme di energia) il pericolo nucleare continuerà a stendere le sue nere ali sul mondo. Sommandosi ai disastri già prodotti finora, gli effetti che l’incidente nucleare peggiore della storia (si stima che siano state rilasciate 50 tonnellate di materiale radioattivo, equivalente a 10 esplosioni atomiche del tipo di quella avvenuta a Hiroshima) ha lasciato dietro di sé, in termini di salute umana e di contaminazione dell’ambiente.