L’ostacolo maggiore, a tutt’oggi, rimane la povertà, che impedisce di dotare i presidi sanitari di attrezzature adeguate: mancano persino i dosimetri per verificare la contaminazione radioattiva.
Esistono anche mezzi per tentare di detossificare gli alimenti: per ripulire il latte dai residui radioattivi basterebbe utilizzare uno specifico apparecchio separatore: ben pochi, però, lo possiedono perchè costa troppo. Così, i bambini continuano a bere latte contaminato pesantemente da cesio 137 e continueranno ad ammalarsi. Ed è proprio la contaminazione degli alimenti il rischio maggiore. Il biologo Yuri Bandazhevsky (un tempo direttore dell’Istituto medico di Gomel, da cui è stato espulso, poi messo in prigione e ora tenuto agli arresti domiciliari) ritiene di aver provato una relazione stretta tra quantità di cesio radioattivo presente nell’organismo dei bambini e la comparsa di malattie a carico del cuore, dei reni, del fegato.
Vassily Nesterenko, fisico che ha pagato con l’emarginazione e la perdita del lavoro il suo rifiuto di minimizzare l’incidente (come richiesto dai gerarchi dell’epoca) era a capo di un’équipe che, grazie a donazioni estere, si occupa di tenere sotto controllo il livello di radioattività dei bambini bielorussi.
“Si ritiene che i bimbi rischino di ammalarsi con livelli di radioattività superiori ai 60 becquerel per chilogrammo di peso” dice Nesterenko, direttore dell’istituto indipendente Belrad di Minsk. “Nel villaggio di Sinitsa la media è di 110 becquerel; era 340 nel settembre 1998″.
Sinitsa si trova a un’ora di strada da Minsk, 350 chilometri da Chernobyl. Una distanza che ha fatto considerare per molto tempo l’area sicura.
Non si era tenuto in conto che il vento, quel 26 aprile, spirava in quella direzione.
In effetti, è la Bielorussia più che l’Ucraina, a essere stata investita dalla nube radioattiva.
Ma soprattutto, la chiusura del reattore non comporta automaticamente la scomparsa del rischio.
“Ci vorranno più di 100 anni prima che il terreno, oggi letteralmente infarcito di cesio 137, ritorni coltivabile” sostengono gli esperti.
Nel frattempo, nelle aree contaminate la gente continua a vivere e a nutrirsi dei prodotti della terra.
Addirittura, si invogliano gli abitanti di altre regioni dell’ex Unione sovietica politicamente instabili (come il Kazakistan) a colonizzare queste aree allettandoli con stipendi più alti.
Infine, c’è un altro aspetto non trascurabile che nessuno, per il momento, ha voluto affrontare in maniera concreta, in termini di aiuti economici: e cioè l’enorme difficoltà in cui verrà a trovarsi un paese che, oggi, affida a quello che è rimasto di Chernobyl circa il 50 per cento della propria sopravvivenza energetica: che cosa accadrà quando l’interruttore verrà staccato?
Come faranno gli ucraini, una popolazione in cui oggi il salario medio di un operaio non supera qualche dollaro al mese, a garantirsi un’esistenza dignitosa?
Una speranza risiede nel gas naturale di provenienza russa, ma i suoi prezzi esorbitanti sono troppo al di là delle possibilità delle casse del governo ucraino.
Chi interverrà?
A causa anche dei costi del risanamento del territorio, di decontaminazione, delle cure ospedaliere e delle terapie necessarie, c’è stato un aggravamento pesantissimo delle difficoltà economiche della Bielorussia.
Povertà e disoccupazione influenzano negativamente la vita delle persone; l’emigrazione di giovani esperti ha intralciato la ripresa dell’industria.
Nelle comunità rurali, dove la produzione e la lavorazione degli alimenti sono fonte di guadagno, la contaminazione radioattiva ha ridotto pesantemente l’opportunità di generare entrate.