Conseguenze sulla salute

Trentuno morti subito in seguito all’incidente, centinaia di altri (in gran parte “liquidatori”, ossia persone inviate sul luogo per tamponare il disastro) ricoverati in ospedale con i classici sintomi di malattia da radiazione, cinque milioni di persone, sparse sui territori delle Bielorussia dell’Ucraina e della Federazione russa, esposte al fallout radioattivo, costituito soprattutto dagli isotopi di iodio e cesio: sono le cifre brute dell’immediato dopo esplosione. Che però da sole non rendono conto della gravità della situazione. A questi casi infatti vanno aggiunte le migliaia di bambini che, dopo anni, sono stati colpiti da tumori della tiroide dovuti al contatto con lo iodio radioattivo, per non parlare delle ricadute a livello psicologico che tutta la popolazione coinvolta sta ancora scontando.

Per questo motivo Wilfried Kreisel, direttore esecutivo del Settore salute e ambiente dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha dichiarato che “l’eredità di Chernobyl rimarrà con noi per lungo tempo sotto forma sia di malattie direttamente indotte dalle radiazioni sia di disturbi di origine psicosomatica”.

Eppure, dopo la grande paura vissuta nei giorni e mesi immediatamente successivi all’incidente per i temuti effetti che la nube radioattiva avrebbe potuto produrre sugli altri paesi europei (due giorni dopo l’esplosione, la radio svedese annunciava che in Italia c’è ancora chi ricorda lo stridio dei contatori geiger passati sui muri degli edifici in molte località italiane) il disastro di Chernobyl è stato cancellato dalle pagine dei giornali. Scomparso, se si fa eccezione per qualche inchiesta isolata. Soltanto i bambini ucraini ospitati presso famiglie italiane hanno continuato a ricordare, ogni estate, che un reattore nucleare è esploso liberando nell’aria il suo contenuto letale e che ancora c’è chi ne porta le conseguenze sulla propria pelle. Come ha ricordato il segretario generale delle Nazioni unite, Kofi Annan, in occasione del quattordicesimo anniversario dell’esplosione: “L’incidente di Chernobyl ha riguardato finora più di sette milioni di persone. Tre milioni di bambini oggi hanno bisogno di continue cure mediche, ma dovremo aspettare fino al 2016, al più presto, per capire il numero esatto di coloro che avranno sviluppato malattie causate dall’esplosione del reattore di Chernobyl”.

“Non si hanno dati precisi sull’estensione dell’epidemia di cancro della tiroide” sostengono all’Istituto francese per la protezione e la sicurezza nucleare, che da anni si occupa delle conseguenze sanitarie di Chernobyl. “Si sa però che, a seconda delle aree, si osserva una moltiplicazione da 10 a 100 volte dell’incidenza di questo cancro tra i bambini, dove di norma questa malattia è molto rara”. Dai dati raccolti presso il registro tumore di Minsk, in Bielorussia, si nota un aumento dei casi a partire dal 1991 nella fascia d’età tra i 15 e i 29 anni: queste persone dunque avevano tra i 10 e i 24 anni al momento dell’incidente.

Lo studio IPHECA, condotto sotto l’egida dell’OMS (pubblicato nel 1996, a dieci anni dal disastro) ha confermato che l’effetto più palese è l’aumento di casi di cancro della tiroide tra i bambini, mentre non ha rilevato aumenti statisticamente significativi di casi di leucemia tra la popolazione. “L’effetto di gran lunga più devastante dell’incidente” si legge nelle conclusioni del rapporto “è lo stress mentale causato dalla paura di possibili effetti deleteri delle radiazioni sulla salute”.

L’alimentazione basata su cibi fortemente radioattivi ha inevitabilmente minato il sistema immunitario della popolazione, causando un forte abbassamento delle difese dell’organismo ed aprendo le porte ad un progressivo ed inesorabile aumento di numerose patologie.

La conseguenza più drammatica riguarda i bambini al di sotto dei 15 anni. È soprattutto fra loro, a causa di un metabolismo più veloce di quello degli adulti, che miete vittime il carcinoma alla tiroide. Tra i giovani esposti allo iodio radioattivo in aprile-maggio 1986 sono stati diagnosticati circa 2000 casi di cancro alla tiroide. Questo dato ha subito un aumento di oltre 8-10000 per l’anno 2002, non si possono ancora stabilire cifre esatte per gli anni a venire[1]. Infatti, alcuni bambini nelle zone colpite, bevendo il latte locale, assunsero iodio-131, con un assorbimento di radiazioni alla tiroide fino a 50 gray. Molti studi hanno rilevato che l’incidenza del cancro alla tiroide sui bambini bielorussi, ucraini e russi è aumentata sensibilmente. L’AIEA ha rilevato “1800 casi documentati di cancro alla tiroide in bambini che all’ epoca dell’ incidente avevano un’ età compresa tra 0 e 14 anni, dato di molto superiore alla media” ma non è riuscita a fare previsione sull’ incidenza futura del fenomeno. I tumori alla tiroide infantile che sono stati diagnosticati sono di tipo esteso e molto aggressivo, e se diagnosticati subito possono essere curati. Per quelli in metastasi è necessario intervento chirurgico seguito da terapia specifica. Ad oggi queste cure hanno avuto successo con tutti i casi diagnosticati.

Esiste una correlazione ormai scientificamente provata con l’incidente.

Tutte le persone colpite dal cancro alla tiroide hanno bisogno di un’attenzione medica continua per il resto della loro vita. Un numero alto di loro avrà serie complicazioni.

E i tumori alla tiroide provocati dal disastro “sono particolarmente aggressivi e portatori di metastasi e come essi rappresentino solo l’inizio delle molte conseguenze che deriveranno dall’incidente” come afferma il prof. Bombardieri, primario di Medicina Nucleare dell’Istituto Nazionale per la Ricerca e la cura dei Tumori di Milano.[2] Basti pensare che un tumore di soli 4 mm può già provocare metastasi ai polmoni.[3]

Nelle popolazioni irradiate sono state osservate altre patologie: cataratta agli occhi, disturbi gravi all’apparato digerente e urologico, al sistema nervoso e circolatorio, problemi mentali e serissimi problemi cardiaci.

È stato inoltre riscontrato un aumento in percentuale di tutte le forme tumorali.

Il dramma rischia di ingigantirsi nel prossimo futuro, anche se gli esperti riconoscono di non sapere prevedere quando il numero dei casi potrà cominciare a diminuire.

I tempi di latenza per l’insorgere di alcune leucemie e di tumori solidi possono essere molto lunghi e i danni genetici si esprimono anche dopo più generazioni.

Si calcola che siano circa 4 milioni le persone a rischio, molti di loro non erano neppure nati quando la centrale esplose.

Ad oggi quasi l’11% dei bambini compresi fra 10 e 14 anni sono affetti da forme tumorali maligne, una percentuale che tende a crescere fra i 5 e i 9 anni (14%) e che supera il 15% nei bambini da 0 a 4 anni.

E nel 2000 è stato lanciato un nuovo allarme: i medici bielorussi parlano di “disastro demografico” per il loro paese.

“La popolazione sta diminuendo a ritmo accelerato per il concorrere di diversi fattori, tutti originati dall’esplosione del famigerato quarto reattore della centrale nucleare di Chernobyl, il 26 aprile 1986: un aumento vertiginoso delle malattie gravi e potenzialmente mortali che provoca un aumento della mortalità complessiva (oggi prossima al 14 per mille); un aumento altrettanto vertiginoso delle malformazioni genetiche nei feti e nei neonati, con conseguente elevata mortalità neonatale ed elevato tasso di aborti; una rapida diminuzione della fertilità e della funzionalità sessuale tra i giovani- maschi e femmine- che erano bambini sotto i sei anni e che ora stanno cominciando a giungere in età riproduttiva e a formare nuovi nuclei familiari […]. Così su una popolazione di soli dieci milioni (in calo), ogni anno si verificano ben 2500 nascite di neonati con anormalità genetiche (3%) e 500 aborti non spontanei dopo i test che accertano palesi anomalie del feto.”[4]

Oltre agli effetti diretti delle radiazioni sulla salute, l’incidente ha portato un enorme disordine nelle vite di quelli che sono stati evacuati dalle loro abitazioni e risistemati in altre zone. Coloro che continuano ad abitare nelle proprie vecchie case appaiono accusare un minore livello di stress, ma affrontano un più alto tasso di disoccupazione e molti di loro affrontano il problema di far crescere i bambini in zone contaminate.

Inoltre un aspetto particolarmente negativo è la certezza di essere stato contaminato.

Tra i dipendenti che lavorano a Chernobyl il 21% si è tolto la vita; l’8% di loro sicuramente per la disperazione di portarsi addosso una morte terribile a causa dell’irraggiamento.

Secondo gli esperti dell’ONU il peggio è previsto intorno al 2004/2006 quando coloro che erano bambini all’epoca dell’incidente inizieranno a procreare: è in questi anni che potranno essere evidenti le conseguenze sul patrimonio genetico della popolazione. Conseguenze che in parte sono già state dimostrate durante studi eseguiti su selvaggina, uccelli e roditori che vivono nelle zone contaminate di Chernobyl.

Queste sperimentazioni hanno portato il prof. Hillis dell’Università del Texas a concludere l’articolo di fondo sulla rivista “Nature” del 26 aprile 1996 sull’argomento con queste parole: “Oggi sappiamo che il potere mutageno di un incidente nucleare può essere molto più grave di quel che ci si aspettava finora e che il menoma degli eucarioti può presentare tassi di mutazione finora mai considerati possibili.”

“Si fa strada la consapevolezza di come le previsioni che volevano far risalire le conseguenze dell’incidente alla sola “sindrome da irradiazione acuta” siano state il frutto di una filosofia di minimizzazione o negazione degli effetti del disastro nucleare. (I soli casi di cancro alla tiroide mettono in evidenza questo aspetto: entro l’inizio del millennio erano stati previsti 1500 casi di tumore tiroideo nei bambini, 6600 entro il 2006. Ma all’inizio del 2000 superavano già gli 11.000!)”.[5]

 

 

[1] UNDP-UNICEF, Le conseguenze umane dell’incidente di Chernobyl, 2002

[2] Atti delle Tavola Rotonda organizzata dal C.R.U.S.M. e dall’Associazione per la Pace

[3] UNDP-UNICEF, Le conseguenze umane dell’incidente di Chernobyl, 2002

[4]AA.VV., “Disastro demografico provocato da Chernobyl”, in Europa&mondo,23 marzo 2000

[5] Massimo Bonfatti, coordinatore Progetto Humus